Articolo aggiornato fino all’8 agosto 2022.
Occasioni perse per evitare la guerra ucraina
Nei mesi e anni precedenti all’invasione russa, Biden e la NATO, invece che fornire armi e assistenza militare, avrebbero dovuto costringere Zelensky a riformare l’Ucraina in senso federativo (riforma promessa dagli ucraini negli accordi di Minsk 2 del 2015 e mai approvata) e abolire le leggi discriminatorie verso la lingua russa e gli ucraini russofoni (ad esempio queste). Avrebbero inoltre dovuto mettere per iscritto che l’Ucraina non sarebbe mai entrata nella NATO e ritirare i missili dalle basi NATO nei paesi confinanti con la Russia. Invece a quanto pare l’idea delle relazioni internazionali che hanno Biden e la NATO è quella di una sfida fra cowboys: insultare e minacciare l’avversario e rischiare il tutto per tutto pur di eliminarlo; ma le sfide causano migliaia di morti e possono anche andare male, vedi Iraq, Afganistan e prima ancora Vietnam. Per convincere Zelensky sarebbe bastato un centesimo (o anche meno, visto la cifra enorme) della spesa provocata dalla guerra attuale: i costi dell’imminente riarmo dei paesi UE e per la fornitura di armamenti all’Ucraina (ad esempio un lanciamissile anticarro Javelin costa 178.000 $, e ogni missile 78.000 $, e la guerra in Ucraina costerà agli USA più di quella in Afghanistan), delle perdite economiche provocate dalle sanzioni alla Russia, del sostentamento dei profughi e per la futura ricostruzione delle infrastrutture ucraine distrutte dalla guerra attuale. Senza contare le migliaia di morti ucraini e russi, i milioni di persone traumatizzate, il ritorno dell’odio fra Oriente e Occidente.
Come valutare la guerra ucraina?
In che modo valutare gli accadimenti ucraini? Possiamo valutarli con un approccio basato sui principi morali e sull’indifferenza verso le ragioni della Russia. Ad esempio possiamo dire che ogni paese ha diritto all’autodeterminazione, che Putin è uno psicopatico, un nuovo Zar, che la Russia è un paese invasore, che gli ucraini sono un popolo di eroi e via discorrendo, e fornire armi e aiuti in modo che l’esercito ucraino possa continuare a battersi in una guerra che non ha possibilità di vincere. Ma questo non ci porterà un passo più vicino alla pace, anzi, spingerà verso un confronto sempre più aspro volto ad abbattere l’avversario, che porterà altre migliaia di morti nella popolazione ucraina e fra i soldati di entrambi gli schieramenti, milioni di profughi di cui i paesi limitrofi (Italia compresa) dovranno farsi carico, la distruzione ulteriore delle infrastrutture e dell’economia ucraina al punto che, dopo la guerra, le condizioni di vita saranno assai più misere e la ripresa lentissima (vedi Siria e Iraq), un nuovo periodo di guerra fredda e di ostilità fra popoli e nazioni, il rischio di una terza guerra mondiale (in cui vorrebbe coinvolgerci Zelensky con la sua richiesta della no-fly zone) potenzialmente nucleare, una riduzione dell’attività economica nei paesi occidentali (già adesso, con riferimento all’Italia, leggo sui giornali di ‘economia di guerra’), milioni di euro in spese militari invece che in istruzione, sanità e infrastrutture civili, l’ulteriore crescita della potenza della Cina.
Oppure possiamo avere un approccio realistico, riconoscere che in Ucraina fra la parte ovest cattolica, di lingua soprattutto ucraina e filo occidentale e la parte est ortodossa, di lingua soprattutto russa e filorussa da 30 anni è in corso un confronto che ha assunto i caratteri di guerra civile; che la politica russa, indipendentemente da Putin, è la stessa adottata dagli Stati Uniti quando sono intervenuti ad esempio in Cile, a Cuba, in Nicaragua, in Italia (per impedire che il PCI andasse al governo) e chiedere all’Ucraina di riconoscere le repubbliche delle regioni separatiste dell’est (a cui dal 2015 si è guardata bene di assicurare l’autonomia costituzionale prevista dall’accordo di Minsk) e riconoscere alla Russia il possesso della Crimea arbitrariamente trasferita all’Ucraina da Chruščёv nel 1954. Gli interessi dell’Italia e dei Paesi Occidentali non sono quelli di Zelensky. La guerra deve finire immediatamente. UE, Russia e USA devono accordarsi affinché l’Ucraina assuma e mantenga una collocazione neutrale, al di fuori di tutti gli schieramenti (NATO, EU). Ucraina e repubbliche separatiste devono impegnarsi a cessare le discriminazioni verso i cittadini dell’altro schieramento.
La Costituzione italiana non permette l’invio di armi all’Ucraina
Perché? Perché l’art. 11 della Costituzione dice che: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
In Ucraina dal 2014 è in corso una guerra civile fra la fazione filorussa e quella filoccidentale, ciascuna delle quali sostenuta militarmente da potenze esterne. L’art. 11 vieta all’Italia di intervenire in controversie internazionali degenerate in guerra. Ripudia significa respinge, rifiuta, rigetta. E’ un termine dal significato chiaro e assoluto. Non sono previste eccezioni, ad esempio per supportare Paesi che secondo la maggioranza dei parlamentari italiani siano ‘nel giusto’ o ‘aggrediti’. Il rifiuto della guerra secondo la Costituzione è tassativo e non è subordinato a interpretazioni o maggioranze parlamentari.
L’articolo 11 prosegue poi dicendo che: [l’Italia] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
I trattati e le organizzazioni internazionali a cui l’Italia aderisce devono logicamente essere conformi alla Costituzione e non viceversa. L’Italia ad esempio non potrebbe ripristinare la schiavitù (condizione vietata dalla nostra Costituzione) anche se una maggioranza parlamentare a favore firmasse un trattato in tal senso con l’Afghanistan. Per questo motivo l’Italia deve anche uscire dalla Nato se segue una politica non conforme all’art.11,
La maggioranza dei parlamentari italiani può anche pretendere di leggere fischi per fiaschi, e trovare esperti sofisti che li supportano, ma spero che quanto prima qualcuno richieda un pronunciamento della Corte Costituzionale sull’invio di armi all’Ucraina.
Vedi a riguardo le considerazioni di Laura Ronchetti nell’articolo “L’Italia ha il dovere di farsi mediatrice di pace”
Papa Francesco sulla guerra in Ucraina
Penso che per quelle di voi che appartengono alla mia generazione sia insopportabile vedere quello che è successo e sta succedendo in Ucraina. Ma purtroppo questo è il frutto della vecchia logica di potere che ancora domina la cosiddetta geopolitica. La storia degli ultimi settant’anni lo dimostra: guerre regionali non sono mai mancate; per questo io ho detto che eravamo nella terza guerra mondiale a pezzetti, un po’ dappertutto; fino ad arrivare a questa, che ha una dimensione maggiore e minaccia il mondo intero. Ma il problema di base è lo stesso: si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri.
La vera risposta dunque non sono altre armi, altre sanzioni. Io mi sono vergognato quando ho letto che, non so, un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento, credo, o il due per mille del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali. Il modello della cura è già in atto, grazie a Dio, ma purtroppo è ancora sottomesso a quello del potere economico-tecnocratico-militare.
E ancora: «Dobbiamo allontanarci dal normale schema di “Cappuccetto rosso”: Cappuccetto rosso era buona e il lupo era il cattivo. Qui non ci sono buoni e cattivi metafisici, in modo astratto. Sta emergendo qualcosa di globale, con elementi che sono molto intrecciati tra di loro. Un paio di mesi prima dell’inizio della guerra ho incontrato un capo di Stato, un uomo saggio, che parla poco, davvero molto saggio. E dopo aver parlato delle cose di cui voleva parlare, mi ha detto che era molto preoccupato per come si stava muovendo la Nato. Gli ho chiesto perché, e mi ha risposto: “Stanno abbaiando alle porte della Russia. E non capiscono che i russi sono imperiali e non permettono a nessuna potenza straniera di avvicinarsi a loro”. Ha concluso: “La situazione potrebbe portare alla guerra”. Questa era la sua opinione. Il 24 febbraio è iniziata la guerra. Quel capo di Stato ha saputo leggere i segni di quel che stava avvenendo». (…) Qualcuno può dirmi a questo punto: ma lei è a favore di Putin! No, non lo sono. Sarebbe semplicistico ed errato affermare una cosa del genere. Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi. Mentre vediamo la ferocia, la crudeltà delle truppe russe, non dobbiamo dimenticare i problemi per provare a risolverli».
I vantaggi del federalismo
Nel dopoguerra, l’Italia ha riconosciuto ampia autonomia amministrativa e tutela delle lingue locali nelle regioni confinanti (Val d’Aosta, Friuli, Alto Adige -dove si era sviluppato un terrorismo tedesco). Sono strutturati in modo federativo anche molti altri Paesi, ad esempio Stati Uniti e Germania. Zelensky (e la parte politica che lo sostiene), al contrario, hanno rifiutato l’autonomia al Donbass e discriminano la lingua russa. La loro politica verso le minoranze ricorda quella di Mussolini. Vedi anche l’attuale lista di proscrizione verso gli ucraini che hanno avuto posizioni filorusse.
Putin non è malato
Leggo che Putin avrebbe promosso la guerra in Ucraina perché sarebbe autistico, avrebbe il Parkinson, sarebbe annebbiato dai farmaci che prende contro un ipotetico cancro alla tiroide, oppure semplicemente malvagio. Sono scemenze propagandistiche, volte a danneggiare la reputazione di Putin (in inglese, character assassination), diffuse anche dalla nostra stampa. George Bush, quando nel 2003 ha invaso l’Iraq per distruggere inesistenti ‘armi di distruzione di massa’ o J.F. Kennedy, quando nel 1963 ha rischiato la terza guerra mondiale contro la collocazione di missili sovietici a Cuba erano alterati o sani di mente? Anche Biden non sta molto bene (vedi anche questo), ma nessuno spiega le sue decisioni con problemi di salute. I ‘nostri eroi’ sono sempre lucidi e razionali, i nemici perfidi e in preda alla pazzia. P.S. Dopo mesi di articoli denigratori sulla stampa internazionale, il Direttore della CIA ha dichiarato che non ci sono prove che Putin sia malato.
Le sanzioni contro alcune persone di nazionalità russa e bielorussa sono illegittime
L’art. 27 della Costituzione afferma che La responsabilità penale è personale. Questo vuol dire che nessuno può essere condannato o discriminato semplicemente perché un familiare, un amico, un appartenente allo stesso gruppo etnico o della stessa nazionalità ha commesso un reato. Altri principi costituzionali (credo l’art. 111 della Costituzione) comportano che per condannare qualcuno ci vogliono le prove, e il diritto dell’imputato, prima di una condanna, a far valere le proprie ragioni davanti al giudice.
Le sanzioni decise dal Consiglio dell’Unione Europea nei confronti di una serie di personalità russe e bielorusse (ad esempio quelle contro le figlie del Presidente Putin) oltre a essere grottesche, sono contrarie ai principi della nostra Costituzione. Finora, una buona parte delle sanzioni decise dalla Commissione europea sono state annullate dalla Corte di giustizia europea. Leggi un approfondimento. Le sanzioni contro le banche russe hanno effetti anche su privati cittadini russi incolpevoli che vivono nel nostro Paese, vedi ad esempio uno, due tre.
E ugualmente ridicole, in Paesi che si dicono democratici, sono le discriminazioni contro artisti, scienziati, sportivi, letterati, autori russi (alcuni addirittura defunti), privati cittadini.
Zelensky si sente in diritto di dare lezioni a tutti
Zelensky e i suoi ministri di sentono autorizzati a dare lezioni a tutti coloro che non condividono il loro approccio oltranzista. Così Zelensky ha criticato Macron e la Merkel per i loro ‘14 anni di concessioni al governo di Mosca’.
Cosa potrebbe rispondere la Merkel: Al termine della seconda guerra mondiale metà del nostro Paese era occupato da russi, che con violenza e arroganza avevano creato un governo fantoccio che reprimeva il dissenso e impediva la libera circolazione dei cittadini tedeschi nell’Ovest e li teneva in povertà. Grazie alla nostra perseveranza e alla nostra capacità di mediazione negli anni siamo riusciti a rassicurare i russi e a ridurre la loro aggressività, e poi a riunificare la Germania creando uno spazio europeo di fiducia, collaborazione e sviluppo economico. Invece tu Zelensky e i tuoi sostenitori, con le vostre attività contro i filorussi ucraini e la vostra sfida alla Russia che cosa avete ottenuto? Prima la guerra civile del 2014, con la perdita della Crimea e di una parte sostanziale del Donbass, e poi adesso una guerra a livello europeo, con migliaia di morti, milioni di sfollati e traumatizzati, ulteriori perdite territoriali, un quinto dell’Ucraina distrutta. Complimenti, sei la persona più indicata per dare lezioni di strategia. E ti auguro (tutti ci auguriamo) che grazie a te e al tuo sostenitore Biden la situazione non peggiori ulteriormente.
Cosa ha risposto realmente.
Erasmo da Rotterdam
Meglio una cattiva pace che una buona guerra (Erasmo da Rotterdam)
Oggi in Ucraina come allora in Italia: Vincere e vinceremo (invece di negoziare)
- L’Ucraina può vincere la guerra con la Russia, “lo vediamo negli sviluppi quotidiani”. Lo ha detto il portavoce del Pentagono, John Kirby. 6 aprile 2022:
- “Oggi dobbiamo prendere decisioni coraggiose perché siamo in guerra. Dobbiamo, come leader democraticamente eletti, comunicare le nostre decisioni e aiutare chi soffrirà” a causa dell’impatto del conflitto in Ucraina e delle sanzioni alla Russia. Lo ha dichiarato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola.”Se non aiutiamo l’Ucraina a vincere la guerra, l’Ue e tutti i Paesi che credono nella democrazia falliscono”. 6 aprile 2022
- L’Ucraina vincerà la guerra “sul campo di battaglia”, così Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, sottolineando che sono in arrivo a Kiev altri 500 milioni di euro per l’acquisto di armi. “Le consegne di armi saranno calibrate secondo le necessità ucraine”, ha aggiunto Borrell. E in un’altra intervista: “Torno con una lista di armi di cui gli ucraini hanno bisogno. E noi la seguiremo”. Il fondo Ue di sostegno militare all’Ucraina sale così a 1,5 miliardi di euro. 9 aprile 2022.
- Il consigliere presidenziale ucraino, Mykhailo Podolyak, citato dalla Cnn: “L’Ucraina è pronta per le grandi battaglie, deve vincerle, in particolare nel Donbass. E dopo avremo una posizione negoziale più solida che ci consentirà di dettare determinate condizioni”.
- Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha accusato alcuni Paesi della Nato di volere una guerra duratura in Ucraina per «indebolire» Mosca. 20 aprile 2022
- «Noi vogliamo la vittoria dell’Ucraina e siamo determinati a fare di tutto per sostenere Kiev.” Così il presidente del Consiglio Ue Charles Michel in conferenza stampa da Kiev. 20 aprile 2022
Dunque avanti con i combattimenti fino alla vittoria invece che con i negoziati. Il risultato saranno ulteriori distruzioni, altri profughi e altre migliaia di morti, inclusi quei morti bambini di cui ogni giorno Zelensky ci aggiorna la contabilità.
Alla Metsola vorrei chiedere: Con quale risoluzione esattamente il parlamento europeo ha dichiarato ‘guerra’ alla Russia? E le sue dichiarazioni avvicinano o allontanano la possibilità di una guerra vera con la Russia? E una parlamentare che non capisce la differenza fra dichiarazione di guerra e adozione di sanzioni può rimanere presidente del parlamento europeo?
Sui danni della strategia di guerra fino alla vittoria dell’Ucraina vedi l’articolo The War in Ukraine Is Getting Complicated, and America Isn’t Ready del New York Times, riassunto su Il Fatto Quotidiano.
Al momento la strategia di Zelensky ricorda quella di Hitler nella fase finale della seconda guerra mondiale: proibito indietreggiare o arrendersi, anche quando ritirarsi salverebbe le vite dei soldati o permetterebbe un miglior posizionamento strategico. E’ stato così per Mariupol: le mogli degli assediati nella fabbrica Azovstal hanno dovuto manifestare a Kiev per sollecitare il permesso di arrendersi ai loro mariti (e la loro manifestazione è stata dispersa dalle forze di sicurezza ucraine). E ugualmente è vietato ritirarsi ai combattenti ucraini impegnati a Severodonetsk. A inizio guerra, Zelensky ha rimosso due generali perché ‘antieroi‘. Zelensky invece ha bisogno di eroi (vedi il futuro Memoriale degli Eroi caduti di Azovstal) e scudi umani (vedi la traduzione in italiano dell’intervista), vedi il report di Amnesty International.
Mi interessano più gli ucraini dell’Ucraina
Da un’intervista a Ginevra Bompiani, su Il fatto Quotidiano, 9 giugno 2022:
Domanda: Che dice del conflitto in corso?
Risposta: Che mi interessano più gli ucraini dell’Ucraina. Dire che l’Ucraina vincerà la guerra per continuare a mandare armi è una menzogna e una crudeltà terribile.
Informazioni dissonanti col racconto ufficiale
Nonostante l’asfissiante propaganda filo Zelensky dei principali quotidiani italiani, ogni tanto emerge qualche informazione dissonante. Ad esempio in questo articolo l’inviato di Repubblica racconta che un caporale ucraino dichiara: “Siversk… il posto peggiore dove fermarsi… qui sono tutti filorussi…”. E ancora “I locali aiutano le truppe nemiche, rivelano loro le nostre posizioni e i nostri spostamenti. Io guido tre plotoni, siamo gli ultimi in questa zona, e ci tocca difenderci da quelli che siamo venuti a proteggere”. Questo ci ricorda che il conflitto ucraino è parte di una guerra civile fra le due fazioni ucraine filorussa e filoccidentale, e che non tutti gli ucraini vogliono rimanere sotto lo Stato ucraino, e non, come vorrebbe convincerci la narrativa predominante degli articolisti di Repubblica che il conflitto ucraino sia la lotta fra l’impazzito orco russo e la pura e innocente democrazia ucraina. L’invasione nazista dell’Unione Sovietica nel 1941 non trasformò Stalin, dittatore responsabile della deportazione e delle morte di milioni di cittadini nel pacifico presidente di uno stato democratico. E allo stesso modo l’invasione russa non può farci magicamente dimenticare (come sembra accaduto ai leader europei e ai parlamentari europei) che la fazione di Zelensky sta da anni portando avanti il progetto di togliere rappresentanza ai filorussi, bloccandone i media, mettendo fuorilegge i loro partiti, discriminando (e in alcuni casi incarcerando e sequestrando le proprietà) gli esponenti filorussi più rappresentativi. Senza queste misure e il rigido controllo che Zelensky esercita attraverso la legge marziale l’accordo fra Russia e Ucraina sarebbe già stato trovato. Il problema è che l’attuale supporto incondizionato a Zelensky degli Stati europei e del parlamento europeo facilita il prolungamento del conflitto e rende l’Unione Europea complice con la politica di annichilimento dei filorussi, in palese contraddizione coi principi di democrazia e tutela di tutte le posizioni politiche a cui governanti e parlamentari europei continuamente si richiamano.
Un’altra notizia dissonante filtra da Repubblica in questo articolo. Una delle sfollate dall’impianto Azovstal di Mariupol racconta che: “Era possibile scegliere di evacuare verso la Russia o verso l’Ucraina” E un’altra: “Fra gli sfollati [di Azovstal] che lasciano Mariupol ci sono molti che vogliono andare in Russia e nella Repubblica popolare di Donetsk”. Dunque le notizie sui “deportati” ucraini in Russia, rilanciate acriticamente da Repubblica e da altri organi di stampa sono propaganda. Peraltro, la situazione in alcune città conquistate dai russi sono catastrofiche: palazzi completamente sventrati, mancanza d’acqua, alimentazione scarsa, pericolo epidemie. In situazioni di questo tipo il trasferimento altrove è solo benvenuto. Gli ucraini “deportati” in Russia sono liberi di spostarsi e lasciare la Russia.
Un’altra notizia dissonante è che i soldati ucraini si nascondono fra i civili, in questo modo rendendoli bersagli dei missili russi. Vedi il reportage di Paolo Brera di Repubblica (11 luglio 2022).
Da un’intervista all’ex generale Marco Bertolini
Ex comandante del Comando operativo interforze (Coi) e della Folgore, 7 aprile 2022
Gli Usa avvertono che il conflitto può durare anni. Quanto può resistere Mariupol?
Difficile dirlo, ma per quanto si riesca a far defluire armi e cibo dall’occidente non saranno mai abbastanza per sovvertire un epilogo che appare scontato. Da quanto mi risulta la resistenza viene esercitata dalle milizie di questo battaglione Azov di stampo nazionalista e a tratti nazista, che però non può resistere all’’infinito. Sono abbastanza convinto che proprio la caduta di Mariupol possa segnare la svolta del negoziato, perché sia finalmente una trattativa seria.
Sembra quasi auspicare la resa della città
Non sarà certo ripresa perché manderemo un po’ di armi ora, quelle servono a mantenere acceso un fuocherello che invece sarebbe bene spegnere, prima di assistere ad altri massacri e prima che si arrivi a farlo con la resa di uno dei due e non con un negoziato “tra” i due. E’ lo stesso film dell’Afghanistan: quella guerra è durata 20 anni, possiamo permettercelo alle porte dell’Europa? Non voglio dire che Zelensky dovrebbe dichiarare la resa, ma che prolungare una guerra come questa non fa vincere nessuno, allontana il dialogo tra le parti, e aumenta il tasso di morti, di violenze, costi sociali ed economici su tutti i fronti.
Un altro generale che ripudia le armi?
Dico solo che non era mai successo. L’Italia non ha mai dato le armi a nessuno. Non le ha date alla Somalia che aveva a che fare con una variante dell’Isis. Ancora oggi abbiamo un piccolo contingente a Mogadiscio che fa addestramento. Gli abbiamo dato uniformi, camion. Ma io ero lì e ci chiedevano armi, ma non gliele abbiamo date e sa perché? Perché non usiamo alimentare i conflitti, ed è lo stesso criterio che abbiamo usato in altre situazioni in cui c’era un popolo aggredito.
Ma adesso la guerra è alle porte dell’Europa
Proprio perché il pericolo è maggiore credo sia stata una scelta discutibile. Capisco che non siamo mai stati inondati come in questa fase di immagini, notizie, appelli ed era difficile sottrarsi. Ma proprio perché il conflitto è a due passi da noi bisognava spegnerlo prima possibile, non tenerlo acceso alimentando una resistenza di poche speranze. Fossimo stati dall’altra parte dell’Atlantico potevamo dire “sì sì diamogliele”. Ma questo conflitto è a due passi da casa nostra e può espandersi come fa il virus, infettare il nostro Continente in un attimo. Se poi perdura, ci sarà un traffico incontrollato di soldati, armi e uomini da ogni parte del mondo, già succede. Tutto è possibile quando si armano centinaia di migliaia di persone col compito di ammazzarne altre. Le immagini di Bucha lo dimostrano.
Scusi, generale, si rende conto che parla come un pacifista?
Dal 24 febbraio mi chiedo se l’Europa e l’Italia avessero altre opzioni possibili. Ma nel frattempo è successo qualcosa che francamente mi ha spiazzato. Da quel giorno è soffiato un vento di guerra in tutta Europa che si è spinto oltre la condanna della criminosa invasione di Putin dell’Ucraina investendo tutto ciò che è russo: ricorda le battaglie contro i corsi su Dostoevskij? Ecco, ritengo che ai rulli di tamburo potevano aggiungersi altre voci, diverse, che consigliavano prudenza, mediazione. Nel nostro Paese questo pensiero c’è, ma è largamente minoritario e schiacciato da una repentina quanto inattesa spinta alla coesione e all’unità dell’Europa. Ma questa coesione e questo interventismo l’Europa non l’aveva fino a ieri, quando si trattava di altri conflitti, come quello in Libia, o quando si è trattato di affrontare il problema migratorio. Penso che quell’istanza per la mediazione “a tutti i costi”, che ritengo ancora legittima e non ipocrita, avrebbe potuto trovare una strada, se solo avessimo avuto una politica estera forte.
Si può mediare mentre parlano le bombe e massacrano civili?
Da un lato e dall’altro mi pare evidente il gioco di alzare la posta. Zelensky sembrava disponibile a tutto, dalla neutralità all’indipendenza di Donbass e Crimea. Continua a dire che bisogna arrivare al negoziato con Putin ma dall’altra parte chiede di processarlo a Norimberga. Non è lineare. Chiaro che l’elemento psicologico fa molto, così come i condizionamenti esterni. Un giorno ti senti supportato e fai la voce grossa, l’altro no. Del resto anche nel campo opposto c’è chi lavora per non facilitare le cose. Chi ha compiuto i massacri dei civili non ha fatto certo un favore a Putin che deve negoziare i propri obiettivi con il peso di quelle accuse.
Ségolène Royal, ex ministro francese
(da un’intervista pubblicata il 31/3/2022)
D. Che cosa pensa dell’invasione lanciata da Putin, e della reazione del mondo?
R. «Da quando Angela Merkel ha lasciato la scena si vedono solo uomini, dagli studi televisivi alla gestione del Covid alle riunioni del G7. I leader dei Paesi più industrializzati sono tutti uomini, è uno squilibrio di potere che non può non avere conseguenze. Vedo molta esibizione di testosterone e di machismo, una specie di competizione tra uomini che devono dimostrare di essere più forti. Nel linguaggio, nelle posture, noto forme di infantilismo».
D. Il campione di questo atteggiamento non è Putin, colui che ha scatenato la guerra?
R. «Certamente, e non da oggi con quelle immagini a cavallo a torso nudo, quell’esibizione di muscoli. Gli altri hanno paura di essere da meno, di essere accusati di piegarsi alle prepotenze, e quindi rispondono a tono, quando farebbero meglio a non scendere sullo stesso livello. L’avete vista la foto di famiglia del G7 della settimana scorsa?».
D. Che cosa non va in quella foto?
R. «Intanto sono tutti uomini, come dicevo, ma poi assumono una posa ridicola, tra il bellicoso, il fanfarone e il narcisistico, quando dovrebbero conformarsi alla gravità della situazione e pensare a ristabilire la pace, l’unico obiettivo».
Gli stupri in Ucraina
Le notizie che arrivano sul comportamento di alcuni reparti dell’esercito russo in Ucraina (stupri, torture, uccisioni di civili inermi, coinvolgimento di civili inermi in attività belliche) sono rivoltanti, e spero che i responsabili vengano individuati e perseguiti. In guerra gli uomini, per natura o per strategia, danno il peggio di sé, vedi ad esempio anche l’uccisione di prigionieri russi da parte di soldati dell’esercito ucraino e, più a ritroso, da parte occidentale, le torture, le uccisioni e i centomila stupri (tollerati dai comandi) da parte di reparti delle forze alleate in Italia nel 1945, la strage di Mỹ Lai in Vietnam, gli oltre 50 mila morti iracheni e le torture di prigionieri iracheni a seguito dell’intervento militare degli Stati Uniti nel 2003-2011, condotto con la scusa della neutralizzazione di inesistenti armi di distruzione di massa, l’uccisione in soli due giorni di circa 200 mila civili inermi in Giappone nel 1945 decisa dal governo americano (finora l’unico a usare la bomba atomica contro civili).
Da un’intervista a David Sasson, storico inglese
(7 aprile 2022)
In Ucraina si comincia a parlare di genocidio
«La parola genocidio è abusata. Il termine originale, nella Seconda guerra mondiale, indicava il tentativo di eliminare un popolo intero. Qui assistiamo a eccidi, orrori, ma parlare di genocidio non mi sembra valido, nel senso di metterlo sullo stesso piano del genocidio degli ebrei, degli armeni, dei rom. In tutte le guerre ci sono dei massacri orribili: ma uno dovrebbe dimostrare che nella sua follia completa Putin abbia l’intenzione di ammazzare tutti gli ucraini».
Come finirà in Ucraina?
«Per battere la Cecenia i russi ci hanno messo anni: ed erano solo un milione e mezzo di abitanti, di cui la metà filo-russi. Questa guerra potrebbe durare anni e questo ci mette in una situazione angosciosa: da un lato bisognerebbe aiutare l’Ucraina, ma più la aiutiamo più la guerra dura. Combattiamo contro la Russia a spese dei civili ucraini: per quanto? Cinque anni? Dieci anni?».
Subiamo ancora l’onda lunga del crollo dell’Urss
«E anche delle nostre colpe. Quando Napoleone è stato sconfitto, la Francia non è stata emarginata: al Congresso di Vienna hanno fatto sì che la Francia facesse parte del nuovo concerto delle nazioni. Quando invece la Germania è stata battuta nella Prima guerra mondiale, è stato fatto il grande sbaglio di punirli: e la conseguenza è stata Hitler. Invece, quando Hitler è stato battuto, gli americani con grande saggezza hanno fatto il piano Marshall. Al contrario, caduto il regime comunista si è subito accerchiata la Russia. Bisognava aiutare Russia e Ucraina, magari facendo entrare l’Ucraina nella Ue, e fare in modo che la Russia si sentisse partecipe di una ricostruzione europea».
Quindi lei vede nella Russia di Putin una analogia col revanscismo della Germania nazista?
«Più che revanscismo, da trent’anni hanno espresso una grande preoccupazione per l’allargamento della Nato. Mettiamoci, come dovrebbe fare un buono storico, nei panni degli altri e vediamo il loro punto di vista».
Non si rischia così di offrire una giustificazione all’aggressione?
«No, si offre una spiegazione, che è ben diverso. Non c’è nessuna giustificazione per l’invasione dell’Ucraina: però uno deve trovare una spiegazione. E non è quella che danno in tanti: che Putin è un pazzo paranoico o che i russi sono sempre stati così».
Ma la spiegazione non può essere che Putin sia un imperialista la cui missione da vent’anni è ricostruire lo spazio imperiale russo?
«Può darsi. Ma che cosa lui intende per spazio imperiale russo? Non vuole riprendere la Polonia né la Finlandia, vuole avere i Paesi slavi tradizionali, come Ucraina e Bielorussia, che era un po’ il progetto di Solgenitsin. Il punto è di avere una Ucraina alleata: non so se lo si può chiamare un impero zarista».
Biden vuole processare Putin – ma in quale tribunale?
(da un articolo su Il Corriere della Sera del 12 aprile 2022)
Joe Biden vuole processare Vladimir Putin per «crimini di guerra». Ma gli Stati Uniti non aderiscono allo Statuto di Roma che nel 1998 ha istituito la Corte penale internazionale dell’Aja. O meglio, Bill Clinton firmò il documento, ma poi decise di non presentarlo al Senato per la ratifica, prevista dalla Costituzione americana per tutti i trattati internazionali. Da allora gli Stati Uniti non hanno mai raggiunto gli altri 123 Paesi che nel frattempo hanno approvato il documento.
Per quale motivo? Il governo Usa non accetta che un americano venga processato e giudicato da autorità internazionali composta da Paesi con diversi orientamenti politici. Il ragionamento di base è: siamo perfettamente in grado di mandare a giudizio i nostri cittadini se hanno commesso gravi crimini contro l’umanità. Spesso si obietta che in realtà gli Usa non volevano che venissero processati i responsabili di misfatti gravissimi, come le torture sistematiche commesse in Iraq, per esempio.
I dati storici sono contrastanti. Qui siamo nel biennio 1998-2000. Con Bill Clinton alla Casa Bianca. L’invasione dell’Afghanistan risale al 2001, quella dell’Iraq al 2003. Inoltre, per restare sull’Iraq, alcuni responsabili delle torture di Abu Grahib sono stati condannati dalle corte marziali americane. Nello stesso tempo, però, è innegabile che l’atteggiamento degli Usa nei confronti della Corte penale internazionale sia diventato sempre più aspro con il passare degli anni. Nel 1999, il Congresso americano tagliò i fondi destinati all’Aja. Nel 2002, con George W.Bush presidente, una legge negò ogni tipo di appoggio all’attività della Corte, «salvo casi eccezionali». Infine nel 2017 Donald Trump impose addirittura delle sanzioni [blocco dei beni, divieto di ingresso negli Stati Uniti] sulla Procuratrice capo della Corte, Fatou Bensouda che aveva accusato i militari americani di aver praticato la tortura e altri trattamenti crudeli sui prigionieri detenuti in Afghanistan dal 2003 al 2004 e poi nelle prigioni clandestine gestite dalla Cia in Polonia, Romania e Lituania. Nel 2021 Joe Biden ha revocato le sanzioni e l’inchiesta sui soldati Usa e la Cia è stata abbandonata. Vedi anche questo (in inglese).
Jeffrey Sachs, direttore dello Earth Institute della Columbia University (30 aprile 2022): Se vogliono processare Putin per crimini di guerra, allora devono aggiungere alla lista degli imputati George W. Bush e Richard Cheney per l’Iraq, Barack Obama per la Siria e la Libia, Joe Biden per aver sequestrato le riserve in valuta estera di Kabul, alimentando così la fame in Afghanistan. E l’elenco non finisce qui. Non intendo scagionare Putin. Voglio sottolineare che bisogna fare la pace, ammettendo che siamo nel pieno di una guerra per procura tra due potenze espansioniste: la Russia e gli Stati Uniti. Non per nulla al di fuori degli Stati Uniti e dell’Europa, pochi Paesi sono schierati con l’Occidente su questo. Giusto gli alleati degli Stati Uniti come il Giappone e la Corea del Sud. Gli altri vedono all’opera la dinamica delle grandi potenze. (…)
Le sanzioni andrebbero revocate come parte di un accordo di pace. La guerra in Ucraina è terribile, crudele e illegale, ma non è la prima guerra del genere. Gli Stati Uniti sono stati anche coinvolti in innumerevoli avventure irresponsabili: Vietnam, Laos, Cambogia, Afghanistan, Iran (golpe e dittatura del 1953), Cile, Iraq, Siria, Libia, Yemen. Questo solo per citarne alcune, perché ce ne sarebbero molte altre. Eppure gli Stati Uniti non sono stati banditi in permanenza dalla comunità delle nazioni. Neanche la Russia dovrebbe esserlo. Invece gli Stati Uniti parlano di isolare la Russia in permanenza. Di nuovo, è la tipica arroganza statunitense.
Da un’intervista a Dmitrij Suslov
direttore del Centro di studi europei e internazionali presso la Scuola superiore di Economia di Mosca, 23-4-2022
L’esercito russo non sta combattendo contro l’Ucraina ma contro la Nato, che non solo consegna armi e munizioni, ma fornisce informazioni preziose di intelligence. (…) Gran parte del fuoco ucraino viene organizzato e puntato dagli occidentali. Detto altrimenti, è la Nato che spara sulle truppe russe, attraverso le sue armi operate dagli ucraini.
Si discute molto in questi giorni sulla consegna di armi pesanti, come carri armati, alle forze ucraine. Cosa cambierebbe?
Ci sarebbe un cambiamento sostanziale nell’atteggiamento della Russia. All’inizio era un conflitto per Ucraina. Ma ora è una guerra per la Russia. In ballo è la sopravvivenza della Russia come grande potenza e il suo status negli affari internazionali. Tutti in Russia sono convinti che stiamo combattendo una guerra contro l’Occidente. Non c’è altra opzione che la vittoria. Se perdessimo, sarebbe peggio della fine dell’Urss nel 1991. Ecco perché l’impatto delle armi fornite a Kiev e della retorica occidentali è già stato di alzare la posta in gioco, trasformando la natura della guerra. Ora non possiamo perdere. (…) Dobbiamo assolutamente vincere in Donbass, che sarà presentata come una vittoria sull’Occidente visto il suo alto grado di coinvolgimento al fianco dell’Ucraina. Diremo al mondo che la Russia è ancora una grande potenza militare.
Le sanzioni renderanno la Russia più dipendente dalla Cina?
Penso che sia l’esito probabile. Le sanzioni hanno completamente distrutto i rapporti russo-occidentali. Non c’è più nulla di quanto esisteva dal 1945 in ogni campo: economia, politica, cultura, arte, scienza, rapporti umani. Non s’è mai visto niente di simile in cinque secoli di storia. La reazione nella società russa è forte, ci vorrà una generazione per cancellare lo straniamento e il rigetto dei russi verso l’Occidente: non vogliamo averci più nulla a che fare a tutti i livelli. Parlo di intellettuali, artisti, scienziati, gente comune. Volete cancellare Ciajkovskij? Fate pure.
Da un articolo di Luca Ricolfi su Repubblica
Per Usa e Regno Unito (e perZelensky) vincere significa cacciare Putin dall’Ucraina, o con le armi o grazie a un cambio di regime a Mosca. Il fatto che l’impresa possa richiedere anni, comportare la completa distruzione materiale dell’Ucraina, nonché il sacrificio di centinaia di migliaia (se non milioni) di vite umane sembra importare poco. L’idea di fondo è che l’invasore vada punito, perché solo così si potranno evitare ulteriori, future aggressioni della Russia nei confronti di altri Paesi europei. (…)
Non occorre essere fini strateghi per rendersi conto che i nostri interessi sono diversi da quelli americani. Primo, perché le sanzioni che infliggiamo alla Russia sono catastrofiche per le economie europee (specie di Germania e Italia), ma fanno appena il solletico all’economia americana. Secondo, perché un eventuale allargamento del conflitto toccherebbe innanzitutto l’Europa, mentre difficilmente metterebbe a repentaglio la sicurezza degli americani. Terzo, perché, per vari motivi, il rischio nucleare che corre l’Europa è incomparabilmente superiore a quello degli Stati Uniti (le centrali nucleari a rischio sono tutte in Ucraina, l’eventualità di un attacco nucleare russo agli Stati Uniti è remota).
Questa asimmetria fra interessi Usa e interessi europei è pronunciata per quanto riguarda la durata della guerra. Per gli Stati Uniti la prospettiva di una guerra che dura 10 anni, in stile Afghanistan, è tutto sommato accettabile, per l’Europa è catastrofica. E lo è innanzitutto per una ragione aritmetica, o meglio di calcolo delle probabilità: se in un generico giorno il rischio di un incidente (ad esempio un missile che cade su una centrale nucleare) è trascurabile, o piccolissimo, in un arco di un anno diventa ragguardevole, e in dieci anni diventa una quasi certezza. (…)
Diventa fondamentale che l’Europa esca dallo stato di ipnosi in cui Zelensky l’ha precipitata, e cominci a prendere atto dei rapporti di forza reali, nonché degli interessi dei popoli che la compongono. Aiutare gli ucraini a difendersi dall’invasione russa è non solo giusto, ma è nell’interesse dell’Europa. Inasprire e prolungare il conflitto nella speranza di cacciare i russi da tutta l’Ucraina è (forse) nell’interesse degli Stati Uniti, ma non in quello dei cittadini europei, cui la guerra infliggerebbe anni di recessione, una sequela di crisi umanitarie, per non parlare della spada di Damocle degli incidenti nucleari e dell’allargamento del conflitto.
Il vero interesse dell’Europa non è punire Putin costi quel che costi, ma fermarlo. Il che significa convincere Putin stesso e Zelensky a sospendere i combattimenti, sedersi a un tavolo, e cercare un compromesso ragionevole, che fermi l’escalation in atto, e assicuri un minimo di stabilità all’Europa tutta, “dall’Atlantico agli Urali”, come direbbe De Gaulle.
Quel che servirebbe, in altre parole, è una grande e coraggiosa iniziativa politica, che finora è mancata perché il problema è stato posto in termini etici (punire l’aggressore) anziché in termini, appunto, politici (minimizzare il danno per i popoli europei, ucraini inclusi). (…)
Arrendersi a Putin non è etico, ma l’alternativa non può essere esporre l’Europa al rischio di una guerra lunga e sanguinosa, e il pianeta a quello di una catastrofe nucleare. Forse, più che dar prova di fedeltà incondizionata all’alleato americano, è giunto il momento per l’Europa di mostrarsi non solo determinata, ma anche saggia, e pienamente consapevole di quale sia il bene dei popoli che la abitano.
Da un’intervista a Carlo De Benedetti
su Il Corriere della Sera 8 maggio 2022
Carlo De Benedetti, qualche sera fa da Lilli Gruber sul La 7 lei ha detto: «La pace è finita, comincia la fame». È così pessimista?
[le conseguenze di questa guerra saranno] Carestia e fame in Nord Africa e in larga parte dell’Africa australe. Costretti a scegliere tra morire di fame e rischiare di morire in mare, gli africani rischieranno di morire in mare. Altro che 500 al giorno; arriveranno a decine, a centinaia di migliaia. La nostra priorità assoluta dev’essere fermare la guerra.
La guerra l’ha scatenata Putin.
Io parto da due pietre miliari. La prima: non giustifico Putin; lo detesto. Putin è un criminale e un ladro, che con altri trenta ladri ha rubato la Russia ai russi. La seconda: sono e sarò eternamente grato agli angloamericani per averci liberati dal nazifascismo. Ma oggi noi europei non abbiamo alcun interesse a fare la guerra a Putin. (…) gli interessi degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito da una parte, e dell’Europa e in particolare dell’Italia dall’altra, divergono assolutamente. Se Biden vuol fare la guerra alla Russia tramite l’Ucraina, è affar suo. Noi non possiamo e non dobbiamo seguirlo.
È contrario all’invio delle armi agli ucraini?
Sì. Biden ha fatto approvare al Congresso un pacchetto di aiuti da 33 miliardi di dollari, di cui 20 in armi: una cifra enorme, per un Paese come l’Ucraina. Questo significa che gli Stati Uniti si preparano a una guerra lunga, anche di un anno. Per noi sarebbe un disastro.
I russi stanno commettendo atrocità contro la popolazione civile.
E lei crede che le armi servano a fermare queste atrocità? No: l’unico modo per fermare le atrocità è trovare una soluzione negoziale.
Ce l’ha anche lei con la Nato?
La Nato è sorta in un contesto completamente diverso: non esisteva l’Unione Europea; non era sulla scena la Cina. Dobbiamo essere grati alla Nato per il ruolo svolto durante la Guerra fredda; ma ora non ha più senso. La Corea del Sud chiede di entrare nella Nato: ma cosa c’entra con l’Alleanza atlantica?
Quale soluzione propone allora?
Serve un esercito europeo. E siccome per avere una forza di difesa occorrono dieci anni, bisogna prendere quella che già c’è. A questo punto, tanto vale che gli Stati Uniti escano dalla Nato, e che gli europei assumano la responsabilità della propria sicurezza.
Lei sa bene che la Nato senza l’America non esisterebbe. Si scrive Nato, si legge Usa.
È proprio questo che dobbiamo superare. Oggi l’Europa va in ordine sparso: la Francia investe 80 miliardi di euro sui superbombardieri Rafale, la Germania annuncia il riarmo da cento miliardi. Ma l’Europa ha un interesse comune: fermare la guerra, anziché alimentarla. Se gli Usa vogliono usare l’Ucraina per far cadere Putin, che lo facciano. Se i russi vogliono Putin, che se lo tengano. Cosa c’entriamo noi?. (…) Non siamo più al tempo delle crociate. Noi non siamo qui per combattere il Male, ammesso che si tratti del Male e il nostro sia il Bene. L’interesse dell’Europa è trovare la propria collocazione nel mondo come il continente della più grande ricchezza, dei più grandi consumi, delle più grandi tradizioni di pensiero, di arte, di cultura: perché la cultura occidentale è tutto quello di cui il mondo si nutre. (…)
Non la impressiona l’eroismo della resistenza ucraina?
È un nazionalismo ammirevole dal punto di vista patriottico; ma alla fine è un danno per il mondo. Non ci guadagna nessuno tranne gli Usa, che fanno soldi a palate vendendo le armi e il gas, senza subire conseguenze. Vede, la politica non ha nulla a che vedere con la morale. Noi, ad esempio, non abbiamo gli stessi interessi dei Paesi baltici: loro temono i russi; noi la fame e l’immigrazione.
La politica serve interessi, e nulla più?
La politica serve a fermare la guerra. (…). Basta guerra.
Il Manuale del combattente
Il Manuale del combattente, che ho spedito ai direttori di La Repubblica e Il Corriere della Sera, due giornali che si distinguono per la loro propaganda bellicista.
Canzoni contro la guerra
La cantavo da ragazzo. E’ sempre attuale. Altre versioni: uno, due, tre, quattro. Vedi anche Canzoni contro la guerra.
Altri commenti
- Il punto di vista russo (Sergey Karaganov)
- Il punto di vista cinese (Zhang Hanhui)
- Il punto di vista dei Paesi non occidentali (Trita Parsi)
- Il rischio di isolamento internazionale dei Paesi occidentali
- Jeffrey Sachs: Carestia e malnutrizione: i futuri effetti della guerra sui paesi poveri
- Bernard Guetta Un piano Marshall per Mosca
- Robert Wade: A ‘Diplomatic Solution’ to the Ukraine Crisis
- Henry Kissinger: To settle the Ukraine crisis, start at the end
- La «profezia» di Kissinger sull’Ucraina
- Niall Ferguson: «Biden ora punta a far cadere il regime di Putin. È un grave errore»
- Fausto Bertinotti: “Con Putin bisogna trattare, non per essere equidistanti ma per realismo”
- Carlo Rovelli: «Ecco perché penso che mandare armi all’Ucraina sia un errore»
- Ucraina, Inzerilli (ex capo Gladio): “Io sto con Putin, il problema della guerra è Zelensky”
- Il teologo Severino Dianich: “Inviare armi è etico solo se si può vincere, se no è inutile strage”
- Alle critiche alla NATO per essersi allargata fino ai confini della Russia e a Paesi che erano nell’orbita russa molti opinionisti e politici occidentali rispondono che ogni Paese è libero di allearsi con chi vuole. Ma a quanto pare il principio non vale quando i confini sono quelli dei Paesi occidentali. Vedi le minacce australiane di intervento militare nelle Isole Salomone (a 2.000 km di distanza dall’Australia) a seguito dell’accordo fra Isole Salomone e Cina.
- Marcia della pace Perugia-Assisi 24 aprile 2022 (c’ero anch’io)
- Commercio internazionale: Si interrompono le catene di distribuzione: quali sono i settori che si fermeranno prima e perché
- 4 things Russia wants right now.
- Il paradosso russo: nano economico ma gigante militare grazie alle debolezze Ue
- Come sarà la terza globalizzazione dopo la pandemia e la guerra in Ucraina
- What If Russia Loses? A Defeat for Moscow Won’t Be a Clear Victory for the West
- I pacifisti e l’Ucraina (dal sito Sbilanciamoci)
- (da un articolo su Il Sole 24 ore): L’America capirebbe meglio cosa provano i russi riguardo all’Ucraina, se si chiedesse come reagirebbe se, diciamo fra dieci anni, la Cina si alleasse con il Messico e costruisse una base a un centinaio di chilometri a Sud del Rio Grande.
Notizie storiche
- Il blocco dei canali televisivi di opposizione disposto da Zelensky nel 2021. Già nel 2019 alcuni di questi erano stati privati del diritto alla trasmissione digitale a causa dell’uso della lingua russa nei loro programmi.
- 20 marzo 2022: Zelensky sospende le attività dei partiti di opposizione. Altri partiti erano già stati messi al bando nel 2015.
- Il Memorandum di Budapest. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 l’Ucraina possedeva un gran numero di ordigni nucleari. Il Memorandum, firmato da Federazione Russa, Stati Uniti e Regno Unito, assicurava fra le altre cose il rispetto dell’indipendenza e della sovranità Ucraina e la rinuncia a ricorrere all’uso della forza e a pressioni economiche contro l’Ucraina in cambio della consegna degli ordigni nucleari ucraini alla Federazione Russa. La Russia non l’ha rispettato.
- Chi non ha rispettato l’accordo di Minsk 2? L’accordo precedeva una serie di step in ordine cronologico. L’Ucraina non ha rispettato il punto 4 e questo ha bloccato tutto il resto. Vedi il testo dell’accordo, la sua descrizione da parte di Massimo Starita (Università di Palermo), il commento di Khrystyna Gavrysh (Università di Ferrara) Che fine hanno fatto gli accordi di Minsk?
- Le promesse di non espansione della NATO a est fatte a Gorbachev: NATO Expansion: What Gorbachev Heard: Declassified documents show security assurances against NATO expansion to Soviet leaders from Baker, Bush, Genscher, Kohl, Gates, Mitterrand, Thatcher, Hurd, Major, and Woerner
- Joshua R. Itzkowitz Shifrinson Deal or No Deal? The End of the Cold War and the U.S. Offer to Limit NATO Expansion Vedi anche Kissinger: “Gli Usa promisero a Mosca che la Nato non si sarebbe allargata a Est”
- La violazione dei diritti delle minoranze russe il caso del baltico e dell’Ucraina
- Il trattamento della lingua russa e di altre lingue minoritarie in Ucraina e le reazioni dei Paesi confinanti
- Il fallimento economico della transizione post sovietica a causa del mancato supporto dell’Occidente e delle teorie sbagliate dei consulenti occidentali vedi uno e due
- Le occasioni perse dell’Occidente nei confronti della Russia. Giuliano Amato: Questa guerra è un gran fallimento per tutto l’Occidente.
- Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights Conflict-Related Sexual Violence in Ukraine – 2014-2017 ReportCRSV_EN (sui comportamenti degli uomini in branco vedi anche le molestie sessuali al recente raduno degli Alpini a Rimini)
Estratti di articoli vari
L’articolo che segue Why the Ukraine Crisis Is the West’s Fault è stato pubblicato da John Mearsheimer sul numero di September/October 2014, della prestigiosa rivista americana Foreing Affairs, pubblicata dal Council on Foreign Relations e lo segnalo perché fornisce un punto di vista ragionevole e originale sul tema. Quella che segue è una traduzione dei punti principali dell’articolo. L’ho pubblicata nel 2014, commentando che le vicende ucraine rischiavano di portare:
- un aumento delle spese militari dell’Italia con un conseguente aumento del deficit pubblico e una riduzione delle risorse pubbliche utilizzabili per lo sviluppo e contro la disoccupazione
- una riduzione del commercio con la Russia (per l’Italia ampiamente in attivo) a causa delle sanzioni occidentali verso la Russia e delle corrispondenti sanzioni russe verso l’Occidente
- una nuova stagione di confronto fra Russia e Occidente, mettendo a rischio la sicurezza il benessere di tutti i cittadini europei.
Perché la crisi ucraina è responsabilità dell’Occidente
L’opinione più diffusa in Occidente è che la crisi ucraina dipenda interamente dall’aggressione russa. Secondo questa opinione il presidente russo Vladimir Putin ha annesso la Crimea sulla base di un desiderio di lunga data di resuscitare l’impero sovietico e per questo motivo potrebbe assalire il resto dell’Ucraina e altri paesi nell’Europa dell’est. E ugualmente l’estromissione del presidente ucraino Viktor Yanukovych nel febbraio 2014 ha solo fornito un pretesto per la decisione di Putin di ordinare alle forze russe di occupare una parte dell’Ucraina.
Ma questa visione è sbagliata: sono gli Stati Uniti e i suoi alleati europei i maggiori responsabili della crisi. La crisi è dovuta all’allargamento della Nato, elemento centrale di una strategia più ampia per spostare l’Ucraina fuori dall’orbita russa e integrarla in Occidente. Altri elementi che hanno portato alla crisi sono l’espansione dell’Unione Europea verso Est e il sostegno occidentale al movimento per la democrazia in Ucraina, iniziato con la Rivoluzione Arancione nel 2004. Sin dalla metà degli anni 90 il leader russi si sono fermamente opposti all’allargamento della Nato e in anni più vicini a noi hanno chiaramente dichiarato che non sarebbero rimasti passivi se il loro vicino così importante strategicamente fosse diventato un bastione dell’Occidente. Per Putin l’estromissione illegale del presidente pro-russo Yanukovych democraticamente eletto, che Putin giustamente ha definito un colpo di Stato, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Putin ha risposto occupando la Crimea, una penisola che temeva avrebbe ospitato una base navale Nato e si è attivato per destabilizzare l’Ucraina affinché abbandoni i propri sforzi per associarsi all’ovest.
L’intervento di Putin non dovrebbe destare sorprese. Dopotutto l’Occidente è intervenuto ai confini della Russia e ha minacciato i suoi interessi strategici fondamentali, un punto che Putin ha più volte enfatizzato. Le élite negli Stati Uniti e in Europa sono state incapaci di vedere questo aspetto solo perché hanno una visione errata della politica internazionale. Queste élite credono che la logica del realismo (Realpolitik, vedi anche Introducing Realism in International Relations Theory) sia poco rilevante nel 21º secolo e che l’Europa possa essere tenuta sicura e libera sulla base di una serie di principi liberali quali le leggi, l’interdipendenza economica e la democrazia. Ma questa impostazione ha mostrato i propri limiti con l’Ucraina. La crisi ucraina mostra che il realismo politico rimane rilevante e che gli Stati che ignorano questo fatto lo fanno a proprio rischio e pericolo. Il leader statunitensi ed europei hanno fatto un grossolano errore cercando di trasformare l’Ucraina in una roccaforte dell’Occidente al bordo dei confini russi. Adesso che le conseguenze sono evidenti sarebbe un errore ancora più grande continuare con questa politica.
L’affronto occidentale
Alla fine della guerra fredda il leader sovietici preferirono che le forze americane rimanessero in Europa e che la Nato rimanesse intatta perché pensavano che questo avrebbe mantenuto pacifica una Germania riunificata. Ma essi e loro successori russi non volevano che la Nato crescesse ulteriormente e davano per scontato che i diplomatici occidentali capissero le loro preoccupazioni. L’amministrazione Clinton evidentemente la pensava diversamente e a metà degli anni 90 iniziò a spingere per allargare la Nato. Il primo allargamento prese luogo nel 1999 e portò nella Nato Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia. Il secondo allargamento si verificò nel 2004 con Bulgaria, Estonia, Lituania, Lettonia, Romania, Slovacchia e Slovenia. Mosca protestò fortemente fin dall’inizio. Durante la campagna di bombardamenti della Nato nel 1995 contro i Serbi bosniaci, per esempio, il presidente russo Boris Eltsin disse: “questo è il primo segno di cosa potrebbe accadere se la Nato arrivasse alle frontiere della Federazione Russa. Le fiamme della guerra potrebbero scoppiare in tutta Europa”. Ma i Russi a quel tempo erano troppo deboli per arrestare l’allargamento verso est della Nato che, in ogni caso, non sembrava così minaccioso perché nessuno dei nuovi membri condivideva un confine con la Russia eccetto che per i piccoli Paesi baltici.
Poi la Nato cominciò a guardare ancora più a Est. Nel summit di Bucarest nell’aprile 2008 l’Alleanza prese in considerazione l’ammissione di Georgia e Ucraina. Il presidente George Bush era favore ma Francia e Germania si opposero per la paura di una reazione russa. Alla fine i membri della Nato raggiunsero un compromesso: l’alleanza non iniziò il processo formale per l’adesione, ma produsse una dichiarazione che riconosceva le aspirazioni di Georgia e Ucraina e dichiarava con sfacciataggine che “questi paesi diventeranno membri della Nato”.
Mosca tuttavia non considerò questo risultato come un compromesso. Alexander Grushko, allora Ministro degli esteri della Russia dichiarò: “L’adesione di Georgia e Ucraina alla Nato è un colossale errore strategico che avrà serissime conseguenze per la sicurezza europea.” Putin affermò che l’adesione di questi due paesi alla Nato avrebbe rappresentato una “minaccia diretta” alla Russia. Un giornale russo riportò che Putin, parlando con Bush, “ha dichiarato in maniera molto trasparente che se l’Ucraina fosse ammessa alla Nato, avrebbe cessato di esistere.”
L’invasione della Georgia da parte della Russia nell’agosto 2008 avrebbe dovuto far cadere ogni dubbio sulla determinazione di Putin di impedire che la Georgia e l’Ucraina aderissero alla Nato. Nell’estate del 2008 il Presidente georgiano Mikheil Saakashvili, favorevole all’adesione del suo Paese alla Nato, aveva deciso di riprendere il controllo delle due regioni separatiste Abkhazia e Ossezia del Sud. Ma Putin cercò di mantenere la Georgia debole e divisa e fuori della Nato. Dopo che scoppiarono combattimenti fra il Governo georgiano e i separatisti dell’Ossezia del Sud, forze russe presero il controllo di queste due regioni. Eppure, nonostante questo chiaro avvertimento la Nato non ha mai rinnegato pubblicamente il proprio obiettivo di portare Georgia e Ucraina all’interno dell’Alleanza. Anzi, l’espansione della Nato è proseguita nel 2009 con l’adesione di Albania e Croazia.
Anche l’Unione Europea ha avviato programmi per un’espansione a Est. Nel maggio 2008 ha lanciato l’iniziativa Eastern Partnership, un programma per promuovere lo sviluppo di Paesi come l’Ucraina e integrarli nell’economia europea. Non a caso i leader russi hanno considerato il piano ostile agli interessi del proprio Paese. Lo scorso febbraio prima dell’estromissione di Yanukovych, il Ministro degli esteri russo Sergey Lavrov ha accusato l’Unione Europea di cercare di creare una sfera di influenza nell’Europa dell’Est. Agli occhi dei leader russi l’espansione europea promuove l’espansione della Nato.
Un ulteriore sforzo per allontanare l’Ucraina da Mosca è stato la promozione dei valori occidentali e della democrazia in Ucraina e in altri Paesi ex sovietici, un piano che spesso ha portato a finanziare individui e organizzazioni favorevoli all’Occidente. Victoria Nuland, l’assistente Segretario di Stato degli Stati Uniti per gli affari europei e euro asiatici ha dichiarato nel dicembre 2013 che gli Stati Uniti hanno investito più di 5 miliardi di dollari dal 1991 per aiutare l’Ucraina a raggiungere “il futuro che si merita.” Come parte di questo sforzo il governo americano ha finanziato il NED National Endowement for Democracy.(..) Dopo la vittoria delle elezioni presidenziali ucraine da parte di Yanukovych nel febbraio 2010 il NED ha avviato una campagna a sostegno dell’opposizione e volta a rafforzare le istituzioni democratiche del paese.
Quando il leader russi guardano all’ingegneria sociale attivata in Ucraina dall’Occidente, si preoccupano che il loro paese potrebbe essere il prossimo. E questi timori sono giustificati. Nel settembre 2013 il presidente del NED Gershman ha scritto sul Washington Post “La scelta dell’Ucraina di unirsi all’Europa renderà più rapido l’abbandono dell’ideologia dell’imperialismo russo rappresentata da Putin.” E inoltre: “Anche i Russi sono davanti a una scelta e Putin potrebbe trovarsi dalla parte sbagliata non solo ai confini della Russia ma anche al proprio interno.” (…)
Le azioni di Putin dovrebbero essere facili da comprendere. L’Ucraina è un grande territorio piatto che è stato di volta in volta attraversato dalle armate della Francia napoleonica, della Germania imperiale, e dalla Germania nazista per attaccare la Russia ed è uno Stato cuscinetto di enorme importanza strategica per la Russia. Nessun leader russo è disponibile a tollerare un’alleanza militare dell’Ucraina con la Nato che fino a poco tempo fa era un nemico mortale di Mosca. E neanche a rimanere inerte mentre l’Occidente foraggia un governo determinato a integrare l’Ucraina nell’Occidente. Washington può non apprezzare la posizione di Mosca, ma deve capire che ha una propria logica. Si tratta di una strategia elementare: le grandi potenze sono sempre estremamente sensibili a possibili minacce ai propri confini. Gli Stati Uniti non tollerano che grandi potenze, anche se collocate grandi distanze, collochino forze militari nell’emisfero occidentale, figuriamoci ai propri confini. Proviamo a immaginare la reazione di Washington se la Cina dovesse costituire un’alleanza militare che includa il Canada o il Messico. Al di là della logica, il leader russi hanno detto in molte occasioni ai leader occidentali che considerano l’allargamento della Nato alla Georgia e all’Ucraina inaccettabile e ugualmente inaccettabile ogni tentativo per volgere questi Paesi contro la Russia, un messaggio che la guerra russo-georgiana del 2008 dovrebbe aver reso estremamente esplicito.
Una via di uscita
L’Occidente sta adottando sanzioni economiche per costringere la Russia a interrompere il proprio supporto all’insurrezione nell’Ucraina orientale. Queste sanzioni hanno scarso effetto. (…) La storia mostra che le nazioni sono in grado di assorbire livelli molto alti di sanzioni pur di continuare a difendere quelli che considerano i propri interessi strategici fondamentali. Non c’è motivo di pensare che la Russia debba comportarsi diversamente. (..) C’è invece un’altra soluzione alla crisi in Ucraina che richiede all’Occidente un cambio di punto di vista. Gli Stati Uniti e i loro alleati devono abbandonare i piani per occidentalizzare l’Ucraina e cercare invece di farne uno Stato cuscinetto neutrale fra la Nato e la Russia, come avvenne per l’Austria durante la Guerra Fredda. I leader occidentali dovrebbero riconoscere che l’Ucraina è molto importante per Putin e non è possibile dare appoggio in Ucraina a un governo anti russo. Questo non vuol dire che un futuro governo ucraino dovrebbe essere a favore della Russia o contro la Nato. Al contrario l’obiettivo deve essere uno Stato ucraino sovrano che non aderisca né al campo russo né a quello occidentale.
Per raggiungere questo risultato, gli Stati Uniti e loro alleati dovrebbero pubblicamente rinunciare all’adesione di Georgia e Ucraina alla Nato. L’Occidente dovrebbe anche promuovere la messa a punto di un piano di aiuto economico assieme all’Unione Europea, al Fondo Monetario Internazionale, alla Russia e agli Stati Uniti. Questa proposta dovrebbe essere ben accetta da Mosca, dato il suo interesse nell’avere ai propri confini uno Stato ucraino prospero e stabile. E l’Occidente dovrebbe limitare considerevolmente i propri sforzi di ingegneria sociale all’interno dell’Ucraina. È tempo di interrompere il supporto occidentale per un’altra Rivoluzione Arancione. In ogni caso gli Stati Uniti e i leader europei dovrebbero incoraggiare l’Ucraina a rispettare i diritti delle minoranze, specialmente i diritti linguistici dei propri cittadini di lingua russa. (..)
Qualcuno potrebbe sostenere che l’Ucraina ha il diritto di scegliere con chi vuole allearsi e che i Russi non hanno diritto di impedire a Kiev di unirsi all’Occidente. Questa posizione è un pericolo per l’Ucraina. La triste verità è che sono i rapporti di forza che decidono cosa è giusto nei rapporti fra superpotenze. I diritti astratti come quello all’autodeterminazione sono in gran parte senza significato quando sorgono dispute fra superpotenze e piccoli Stati. Durante la guerra fredda Cuba aveva il diritto di costituire un’alleanza militare con l’Unione Sovietica? Gli Stati Uniti certamente pensavano di no e i Russi pensano lo stesso riguardo alla possibilità che l’Ucraina si allei con l’Occidente. È interesse dell’Ucraina capire come va il mondo e agire con cautela nei propri rapporti con la Russia. E anche nel caso in cui si consideri che l’Ucraina abbia il diritto di chiedere di far parte dell’Unione Europea e della Nato rimane il fatto che gli Stati Uniti e i suoi alleati europei hanno il diritto di rifiutare queste richieste. Non c’è motivo che l’Occidente accolga l’Ucraina se questo provoca seri problemi a livello internazionale, specialmente se la difesa dell’Ucraina non è un interesse vitale. I sogni di alcuni Ucraini non valgono l’ostilità e il conflitto che possono causare, specialmente per il popolo ucraino nel suo insieme.
Continuare la politica attuale complicherà le relazioni occidentali con Mosca anche su altri fronti. Gli Stati Uniti hanno bisogno dell’assistenza russa per ritirarsi dall’Afghanistan attraverso il territorio russo, arrivare un accordo nucleare con l’Iran, stabilizzare la situazione in Siria. Finora Mosca ha aiutato Washington in tutti e tre i fronti; nell’estate del 2013 è stato Putin che ha tolto le castagne dal fuoco a Obama promuovendo un accordo con la Siria per la distruzione del suo arsenale chimico, in questo modo evitando un attacco americano. Inoltre gli Stati Uniti avranno bisogno prima o poi dell’aiuto della Russia per contenere la Cina. La politica attuale americana invece, sta favorendo un avvicinamento fra i due paesi.
Perché gli americani non amano il realismo (da John J. Mearsheimer (ed. it. 2019: 58-60). La tragedia delle grandi potenze)
Gli americani tendono a non vedere di buon occhio il realismo [in politica internazionale] perché cozza con i loro valori fondamentali. Il realismo contrasta l’immagine che gli americani hanno di se stessi e del mondo esterno. In particolare, si scontra con il radicato senso di ottimismo e di moralismo che pervade tanta parte della società americana. Il liberalismo invece collima alla perfezione con quei valori. Non sorprende che la linea di politica estera degli Stati Uniti è sembrata spesso ricalcare una lezione introduttiva sul liberalismo geopolitico. Gli americani sono sostanzialmente degli ottimisti. Per loro il progresso in politica, a livello nazionale e internazionale, è qualcosa di auspicabile e possibile. Come tanto tempo fa osservava il pensatore francese Alexis de Tocqueville, gli americani sono convinti che “l’uomo sia dotato di una facoltà illimitata di miglioramento”. Il realismo, viceversa, offre una prospettiva pessimista sulla politica internazionale. Mostra un mondo saturo di competizioni per la sicurezza e di guerre, e non promette un “rifugio dal male del potere, indipendentemente da come uno si comporti”. Tale pessimismo è in contrasto con la radicata convinzione americana che con il tempo e l’impegno gli individui ragionevoli possano cooperando risolvere importanti problemi sociali. Il liberalismo offre una prospettiva più ottimista della politica mondiale, e gli americani la trovano naturalmente più attraente dello spettro sinistro disegnato dal realismo. Gli americani sono anche portati a credere che la morale svolga un ruolo importante nella politica. Come scrive l’eminente sociologo Seymour Martin Lipset: “Gli americani sono dei moralisti utopici che ce la mettono tutta per istituzionalizzare la virtù, distruggere gli empi ed eliminare istituzioni e pratiche malvagie”. Questo punto di vista si scontra con la convinzione realista che la guerra è un elemento intrinseco alla vita del sistema internazionale.
(…) L’inclinazione moraleggiante degli americani urta inoltre con il fatto che i realisti tendono a non distinguere tra Stati buoni e cattivi, differenziando piuttosto gli Stati in base alle capacità di potenza relative. L’interpretazione realista pura della Guerra fredda, per esempio, non riconosce differenze significative alle motivazioni che stavano alla base del comportamento degli americani e dei sovietici durante il conflitto. Secondo la teoria realista, ambo le parti erano spinte da considerazioni di equilibrio di potenza, e ciascuna di esse faceva il possibile per massimizzare il proprio potere relativo. Molti americani si ritrarrebbero inorriditi davanti a questa interpretazione della Guerra fredda, convinti come sono che gli Stati Uniti erano motivati da buone intenzioni e l’Unione Sovietica no. I teorici liberali, si sa, distinguono tra Stati buoni e Stati cattivi, e di norma classificano come i più degni le democrazie liberali dotate di economie di mercato. Non sorprende che gli americani tendano a fare propria questa prospettiva, perché presenta gli Stati Uniti come una forza benigna nella politica mondiale e raffigura i loro rivali, reali o potenziali, come facinorosi mal guidati o in malafede. Com’era prevedibile, questa linea di pensiero ha alimentato l’euforia che ha accompagnato la caduta dell’Unione Sovietica alla fine della Guerra fredda. Quando l’“impero del male” è crollato, molti americani (e molti europei) hanno concluso che la democrazia sarebbe dilagata in tutto il pianeta e che nel mondo presto sarebbe scoppiata la pace. Questo ottimismo si basava in gran parte sulla convinzione che l’America democratica sia uno Stato virtuoso. Se altri Stati emulano gli Stati Uniti, allora il mondo sarà popolato da Stati buoni, e questa piega degli eventi non può significare altro che la fine dei conflitti internazionali.
Dato che agli americani la Realpolitik non piace, il discorso pubblico sulla politica estera statunitense viene di solito espresso nel linguaggio del liberalismo. Per questo i pronunciamenti delle élite politiche grondano ottimismo e moralismo. Gli accademici americani sono particolarmente abili nel promuovere il pensiero liberale sul mercato delle idee. Ma a porte chiuse le élite che danno forma alla politica di sicurezza nazionale parlano la lingua della potenza, non quella dei principi, e gli Stati Uniti si muovono nel sistema internazionale secondo i dettami della logica realista. In sostanza, si percepisce una netta separazione tra la retorica pubblica e la conduzione concreta della politica estera americana.
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore (eccetto il testo originale delle parti dell’articolo qui riprodotto) © Leonardo Evangelista. La prima versione è stata collocata su internet l’8 settembre 2014. L’articolo rispecchia le opinioni dell’autore al momento dell’ultima modifica. Vedi le indicazioni relative al copyright.