Quali sono le differenze e i punti di contatto fra coaching e orientamento? Te lo spiego in questo articolo.
Definizioni di coaching e orientamento
Il coaching è nato per migliorare le prestazioni. Innanzitutto in ambito sportivo, poi in ambito manageriale.
L’orientamento è un aiuto all’inserimento professionale.
Che rapporti ci sono fra le due discipline?
Differenze iniziali di scopo fra coaching e orientamento
Le persone che hanno necessità di migliorare le proprie prestazioni non hanno problemi orientativi. Sono contenti del lavoro che fanno o comunque non chiedono aiuto per scelte di carriera e ricerca di lavoro.
Possiamo dire perciò che la prima differenza fra coaching e orientamento è nello scopo iniziale delle due discipline: il coaching aiuta le persone a migliorare le prestazioni nel lavoro che stanno già svolgendo, mentre l’orientamento aiuta a scegliere e a trovare un lavoro.
Tuttavia oggi vediamo che il settore dell’orientamento e quello del coaching sono parzialmente sovrapposti, perché alcuni coach lavorano come orientatori.
Questi operatori, che si presentano come career coach o job coach, utilizzano l’approccio del coaching, caratterizzato dal promuovere costantemente la riflessività e l’iniziativa del cliente, per facilitare scelte professionali e ricerca di lavoro.
Altri coach, inoltre, che si presentano come life coach, hanno iniziato a lavorare anche su problemi di vita.
L’utilizzo delle tecniche di coaching (e le attività degli operatori che si definiscono coach) si è così allargato dal miglioramento delle prestazioni nello sport e nel lavoro a un più generale aiuto alle scelte professionali (career coach, job coach), e al fronteggiamento dei problemi di vita (life coach).
Rileviamo questo sviluppo anche nelle definizioni ufficiali di coaching.
Il coaching viene definito come un aiuto alle persone a massimizzare il proprio potenziale e le proprie prestazioni (nota 1). L’ambito di attività del coaching viene definito sia professionale che personale (2).
Differenze storiche e di mercato fra coaching e orientamento
Fra coaching e orientamento esistono anche differenze di natura storica e di mercato. Il coaching, come ho appena spiegato, si è inizialmente sviluppato nel mondo anglosassone per aiutare atleti professionisti (nota 3).
La gran parte delle attività di coaching è al momento rivolta a persone impiegate in grandi imprese ed è pagata dai datori di lavoro (nota 4).
Operatori con formazione di coaching e che si presentano come coach si dedicano anche all’orientamento.
La nascita e la diffusione dei servizi di orientamento
L’orientamento è nato ugualmente nel mondo anglosassone, a opera di filantropi o soggetti pubblici (nota 5). Inizialmente è stato rivolto ai giovani, e successivamente anche ad adulti disoccupati.
Al momento la gran parte delle attività di orientamento in Italia è rivolta ad adulti disoccupati e in misura minore a studenti. Le attività di orientamento sono pagate da soggetti pubblici e quelle rivolte ad adulti disoccupati sono svolte da Centri per l’impiego e agenzie formative e agenzie per il lavoro (sono le ex agenzie interinali) convenzionate coi servizi pubblici.
I servizi di orientamento hanno una diffusione capillare (ogni città sopra i 50.000 abitanti ha almeno uno sportello pubblico o privato che eroga servizi di orientamento. In Italia ci sono circa 18.000 soggetti che erogano servizi di orientamento -nota 6) mentre le attività di coaching sono per lo più concentrate a Milano e ove vi siano grandi imprese.
Considerando che ognuna delle 18.000 strutture che erogano servizi di orientamento abbia mediamente 2 addetti otteniamo almeno 30.000 addetti nel settore orientamento. Il numero degli operatori di orientamento è aumentato ulteriormente a seguito dell’introduzione del reddito di cittadinanza.
I servizi di coaching in Italia
I coach in Italia sono stimati in circa 500 (nota 4) (poi va visto quanti di questi svolgono il coaching come attività unica).
Oltre a quelle di origine, di gruppi bersaglio e di struttura di mercato appena descritte, quali sono le differenze di contenuto fra le due discipline?
L’approccio del coaching
In estrema sintesi, il coaching (almeno quello descritto da John Whitmore, che è stato uno dei fondatori della disciplina) corrisponde alla consulenza di orientamento condotta con un approccio educativo.
Provo a spiegare meglio. Nel suo libro Coaching: Come risvegliare il potenziale umano nella vita professionale e personale Whitmore afferma che l’obiettivo del coaching è migliorare la performance delle persone (cap.1).
Questo avviene attraverso un approccio che insegna alle persone ad apprendere, invitandole ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni, a riflettere sui risultati delle loro azioni, ad adottare nuovi comportamenti o atteggiamenti se quelli iniziali non danno risultati. Whilmore a un certo punto cita il metodo maieutico di Socrate (cap.1).
Il metodo socratico nel coaching
Nel cap.4, Whitmore mostra come esempio di coaching il dialogo una dipendente e il suo supervisore.
La dipendente dice al supervisore che l’azione che avevano concordato non ha funzionato.
Il supervisore allora, invece di dire alla dipendente cosa fare, invita la dipendente a individuare altre attività alternative da mettere in pratica. Il giorno dopo la dipendente racconta al supervisore che il problema non è stato risolto, ma ha individuato di che si tratta.
Il supervisore si complimenta con la dipendente e le chiede cosa ha intenzione di fare.
La dipendente chiede al supervisore di intervenire su un altro dipendente, ma il supervisore le dice di farlo lei direttamente, mostrandosi fiducioso sulle sue capacità di ottenere un risultato positivo anche senza il suo intervento.
Nell’incontro successivo la dipendente dice al supervisore che è andato tutto bene. Il supervisore le fa i complimenti e le chiede cosa ha imparato da questa esperienza.
L’approccio del coaching in dettaglio
Dunque da questa interazione vediamo che il coach:
- ha fiducia nella capacità del dipendente (la persona che ‘riceve’ il coaching è chiamata coachee o cliente) di risolvere il problema in maniera autonoma
- in alcuni casi invita il coachee a trovare soluzioni invece di dirgli sempre cosa fare
- aiuta il coachee ad attivarsi
- monitora i risultati delle attività programmate
- si complimenta col coachee quando fa qualcosa bene, in maniera da aumentare il suo senso di autoefficacia
- imposta la relazione col coachee come una relazione di apprendimento continuo.
L’approccio dell’orientamento
La consulenza di orientamento è una attività a supporto della progettazione e messa in atto di progetti professionali e formativi da parte del cliente. Il termine ‘consulenza’ indica che l’attività richiede una preliminare analisi approfondita della situazione del cliente.
Le attività di orientamento possono essere svolte con un approccio diagnostico o con un approccio educativo.
L’approccio diagnostico nell’orientamento
In estrema sintesi, nell’approccio diagnostico il consulente ‘agisce’ la sua expertise, si pone cioè come un esperto che interroga il cliente (in alcuni casi gli fa svolgere una serie di test) e dice al cliente quali sono le sue caratteristiche e cosa è meglio fare.
L’approccio educativo nell’orientamento
Nell’approccio educativo il consulente mira a rendere capace il cliente di gestire in maniera il più possibile autonoma il proprio percorso formativo e professionale. Il consulente è sì un esperto, ma agisce piuttosto come facilitatore di processo.
Nei miei corsi spiego che l’orientamento svolto secondo l’approccio educativo è come insegnare a qualcuno ad andare in bicicletta. Finché il cliente sta in equilibrio (cioè fa delle valutazioni e programma piani d’azione che ci sembrano corretti) ci si complimenta con lui e lo si invita a continuare; assumiamo un ruolo più attivo solo nel caso stia per cadere (cioè se sta facendo degli errori).
Differenze fra approccio diagnostico ed educativo nell’orientamento
Nell’approccio diagnostico il consulente dice al cliente, anche se con delicatezza, che la sua percezione delle proprie caratteristiche o del mercato del lavoro è sbagliata.
Nell’approccio educativo, quando il cliente fa valutazioni o programma piani d’azione poco realistici o inappropriati il consulente invece interviene utilizzando il metodo socratico: lo invita cioè, con una serie di domande, a riflettere su quegli aspetti che non ha considerato.
Ad esempio il consulente potrà chiedere: ‘ Mi ha detto che lei ha facilità di inserimento in contesti lavorativi. Come spiega che nel suo percorso lavorativo in alcuni casi non ha superato il periodo di prova o il contratto a termine non le è stato rinnovato?’
Oppure: ‘Mi sta dicendo che vorrebbe lavorare come programmatore informatico. Quali sono secondo lei le caratteristiche ottimali per lavorare in questo ruolo? E lei ce l’ha? Proviamo a vedere una serie di offerte di lavoro per programmatore informatico: quanto le caratteristiche richieste corrispondono alle sue?’.
I miei riferimenti teorici per l’orientamento formativo sono Carl Rogers, Gerard Egan, Robert Carkhuff, William Miller e Stephen Rollnick. Rogers ha evidenziato le potenzialità dell’ascolto attivo, Egan l’ha codificato, Carkhuff, Miller e Rollnick l’hanno sviluppato in maniera maggiormente orientata al risultato.
L’approccio educativo nell’orientamento in dettaglio
Il consulente di orientamento che adotta un approccio educativo:
- ha fiducia nella capacità del cliente di risolvere il problema in maniera il più possibile autonoma
- invita il cliente a trovare soluzioni invece di dirgli cosa fare
- aiuta il cliente ad attivarsi
- monitora i risultati delle attività programmate
- si complimenta col cliente quando fa qualcosa bene, in maniera da aumentare il suo senso di autoefficacia
- imposta la relazione col cliente come una relazione di apprendimento continuo.
I rischi di lavorare nell’orientamento con la sola formazione da coach
Alla luce di quanto spiegato finora, possiamo dire che l’approccio del coaching (almeno quello descritto da Whitmore), quando è utilizzato in ambito orientativo, corrisponde a quello dell’orientamento formativo. Le tecniche e gli strumenti utilizzati da ciascun operatore dipendono poi dal tipo di formazione e dalle preferenze individuali.
Una differenza importante è relativa alla preparazione richiesta a chi svolge coaching e a chi svolge orientamento.
La preparazione del coach
Secondo Whitmore non è necessario che il coach abbia esperienza nella materia trattata; questo sarebbe addirittura un suo grande punto di forza (cap.1).
‘Un coach non è un risolutore di problemi, un consulente, un insegnante, un consigliere o un istruttore, e nemmeno un esperto: un coach è una persona con cui far emergere le idee, un facilitatore, un elevatore della coscienza e un sostenitore’ (cap.6).
In altre parti del libro questa affermazione è attenuata. Nel cap.1 ad esempio Whitmore afferma anche che la condivisione di conoscenze e esperienze avviene anche nel coaching, anche se non sempre.
La preparazione dell’orientatore
Gli operatori di orientamento, al contrario, devono essere esperti sui 5 temi dell’informazione orientativa: mercato del lavoro e contesto locale, tecniche di ricerca di lavoro, normativa sul lavoro, percorsi formativi e professionali, profili professionali.
Rischi di fare coaching senza conoscere le informazioni orientative
Con riferimento alla posizione di Whitmore (e di altri formatori di coach) mi rendo conto che presentare la propria metodologia come adatta a una platea più ampia possibile di potenziali utilizzatori (questo è il risultato dell’affermazione che i coach non devono essere esperti di settori specifici) è un’ottima strategia di marketing. Ma la genericità delle conoscenze del coach può danneggiare i clienti. Faccio alcuni esempi.
Esempio 1: il quadro aziendale
Un quadro aziendale si rivolge a un coach perché vuole cambiare lavoro e cerca un aiuto per mettere a punto una ricerca di lavoro efficace. Facilitato dal coach, il cliente mette a punto gli strumenti per la ricerca (CV, messaggio di autocandidatura, etc.) e una strategia di ricerca. Purtroppo il coach non è esperto di ricerca di lavoro: il risultato è che il CV è migliorabile, la lista di aziende bersaglio è parziale, fra le azioni programmate manca il ricorso ai motori di ricerca per le offerte di lavoro. La ricerca di lavoro risulta così poco efficace.
Esempio 2: il neodisoccupato
Una persona che ha appena perso il lavoro si rivolge a un coach per trovare un nuovo lavoro. Il cliente non conosce la NASPI, e nemmeno il coach. Il cliente perde così la possibilità di ricevere un sussidio di disoccupazione. Inoltre il coach non sa che le aziende che assumono il disoccupato possono avere uno sgravio contributivo, e così questa informazione non viene inserita nel CV, riducendo così la possibilità di successo della ricerca di lavoro.
Esempio 3: il neodiplomato
Un neodiplomato si rivolge a un coach per la scelta di un corso di laurea. Il coach però, al pari del suo cliente, ha una conoscenza approssimata degli indirizzi di laurea e del funzionamento dell’università. Per questo motivo il coach avalla la scelta di un corso di laurea meno adatto per il cliente rispetto a un altro che però non è emerso dalle ricerche che il cliente ha condotto su internet.
Esempio 4: il disoccupato
Un disoccupato adulto con una lunga e differenziata esperienza lavorativa ha adesso un problema di salute e non può più svolgere alcuni dei lavori svolti in precedenza.
Si rivolge a un coach alla ricerca di nuove prospettive (tecnicamente si tratta di un bilancio di competenze). Il coach non è in grado di svolgere una job analysis delle esperienze pregresse, e pertanto la ricostruzione delle capacità tecniche e trasferibili è sfocata. Inoltre il coach ha una conoscenza limitata dei profili professionali, perciò anche la definizione dell’obiettivo professionale è insoddisfacente.
In sintesi
Danni dello stesso tipo possono essere provocati anche da consulenti di orientamento poco preparati, ma quello che sto dicendo è che, con clienti che hanno necessità di orientamento, consulenti di orientamento esperti forniscono un servizio migliore di coach esperti.
In questo articolo mi interessa evidenziare quello che secondo me è un limite teorico della posizione di Whitmore.
In generale, credo che ogni figura professionale (consulente di orientamento e coach compresi) debba seguire uno dei principi basilari di ogni etica professionale: lavorare solo su temi che conosce bene.
Lavori come coach o consulente di orientamento? Mandami un commento.
Sullo stesso tema vedi anche Quali sono i requisiti di legge per lavorare come coach? E come formarsi per lavorare come coach?
Se desideri migliorare la tua attività di coach o di consulente di orientamento puoi seguire uno dei miei corsi.
Vedi la pagina dedicata a materiali gratuiti per lo svolgimento di attività di orientamento.
Note su differenze e similitudini fra coaching e orientamento
- La definizione è ricavata dalle definizioni di coaching contenute in Appendice 1. Glossario dei termini di coaching del libro Whitmore J. (2017, trad. it. 2018) Coaching: Come risvegliare il potenziale umano nella vita professionale e personale.
- Secondo l’ICF International Coaching Federation, Il coaching è un’alleanza (…) finalizzata a massimizzare il potenziale personale e professionale
- Vedi la descrizione della voce Coaching su Wikipedia
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- Negli Stati Uniti il primo servizio di orientamento di cui si è conservata memoria è quello avviato a Boston a inizio del 1900 da Frank Parsons. Nel Regno Unito una rete di sportelli pubblici rivolti ai giovani (Juvenile Employment Offices) è stata avviata nel 1909. Vedi Jayasinghe M. (2001:4) Couselling in Careers Guidance.
- Così il Rapporto ISFOL sull’orientamento, riferito al 2011.
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. L’articolo rispecchia le opinioni dell’autore al momento dell’ultima modifica. Leggi Informativa privacy, cookie policy e copyright.