Una critica a Life Design: un paradigma per la costruzione della vita professionale nel XXI secolo

Il Life Design
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La genesi e gli obiettivi del documento Il Life Design: un paradigma per la costruzione della vita professionale nel XXI secolo

Il documento è stato pubblicato nel 2009 da un gruppo di studiosi fra i quali Laura Nota, Jerome Rossier, Mark Savickas, Jean Guichard. Puoi scaricarlo da questo link.

Il termine paradigma indica un modello di riferimento fondamentale riferito a una determinata disciplina.

Con questo scritto gli Autori hanno voluto mettere a punto un nuovo paradigma per lo svolgimento delle attività di consulenza di orientamento che tenesse conto della ‘nuova organizzazione sociale del lavoro’ caratterizzata dalla globalizzazione.

Questa nuova modalità di svolgimento della consulenza di orientamento è chiamata Life Design.

Cos’è la globalizzazione

Il termine globalizzazione indica gli effetti dovuti all’intensificazione degli scambi economico-commerciali e degli investimenti internazionali su scala mondiale che si è verificata nei decenni tra il XX e il XXI secolo.

La maggiore integrazione fra le economie nazionali ha portato anche ad accresciute interdipendenze sociali, culturali, politiche, tecnologiche e sanitarie a livello mondiale.

La globalizzazione ha portato a una serie di effetti positivi e negativi.

Fra i positivi lo sviluppo economico e il miglioramento delle condizioni di vita di alcuni miliardi di persone che vivono nei paesi più poveri, in particolare Cina e India, la minore conflittualità internazionale, la disponibilità nei paesi più ricchi di prodotti di consumo (auto, elettrodomestici, pc, abbigliamento, calzature) e manodopera a basso costo. Vedi il mio articolo I sei effetti della globalizzazione.

Il principale effetto negativo è la riduzione dell’occupazione, nei paesi più ricchi, nei settori dei beni di consumo, e una maggiore pressione competitiva sulle imprese di molti altri settori dovuta, almeno nel caso dell’Italia, anche alla concorrenza degli altri paesi dell’Unione europea.

Un sommario dell’articolo scritto dagli Autori

Quoto dal sommario dell’articolo: ln questo inizio di secolo, la nuova organizzazione sociale del lavoro pone una serie di domande e di sfide ai ricercatori che intendono aiutare le persone a progettare la loro vita lavorativa. Nell’era della globalizzazione anche per quanto riguarda il career counseling, abbiamo deciso di affrontare queste problematiche e di dare delle risposte che si caratterizzassero come innovative (…).

Questo articolo presenta i primi risultati della collaborazione che si è registrata – un modello e dei metodi perla consulenza di orientamento. Il modello per l’intervento nell’ambito dell’approccio ‘ Life Design si caratterizza per cinque presupposti relativi al modo di vedere le persone e la loro vita lavorativa. Essi riguardano le possibilità contestuali, i processi dinamici, i progressi non-lineari, le molteplici prospettive e la presenza di pattern personali.

Partendo da questi cinque presupposti abbiamo messo a punto un modello basato sull’epistemologia del costruzionismo sociale, che sostiene che la conoscenza e l’identità di un individuo sono i prodotti dell’interazione sociale e che il significato è costruito attraverso il discorso (…). Particolare attenzione viene data agli interventi nel corso dell’arco di vita, olistici, contestuali e preventivi.

L’introduzione del documento

Gli Autori (Laura Nota, Jerome Rossier, Mark Savickas, Jean Guichard e gli altri)  rilevano che attualmente, le attività occupazionali sembrano molto meno definite e prevedibili e le transizioni lavorative più frequenti e difficili. (…) I concetti chiave delle teorie e delle tecniche di orientamento del XX secolo devono [perciò] essere riformulati per adattarsi all’economia post-moderna.

Gli attuali approcci [dell’orientamento] sono insufficienti. In primo luogo, infatti, questi sono radicati nel presupposto della stabilità delle caratteristiche personali e del lavoro sicuro in determinate organizzazioni. In secondo luogo, questi approcci concepiscono la vita professionale come una sequenza predefinita di stadi. (pagina 4).

Critiche alle teorie e ai metodi tradizionali relativi allo sviluppo professionale

Il documento continua segnalando la minore stabilità degli interessi professionali rispetto a quanto affermato da Holland, l’importanza nelle traiettorie di carriera degli altri ambiti di vita, quali quello familiare, l’importanza della dimensione valoriale (5), la necessità di porre l’attenzione sui processi di costruzione del sé, la frammentarietà dei percorsi professionali di persone che hanno posizioni marginali nelle organizzazioni (6).

A questo punto gli Autori dichiarano che Per formulare degli interventi di orientamento che permettano di perseguire gli obiettivi appena descritti abbiamo bisogno di un paradigma che enfatizzi la continua evoluzione degli individui, dell’economia e della società. Il nuovo paradigma per il counseling deve produrre specifiche conoscenze e abilità per analizzare e affrontare i contesti, le dinamiche complesse, le causalità non lineari, le molteplici realtà soggettive e il modelling dinamico. Sulla base di ciò riteniamo che questi cinque presupposti siano delle condizioni necessarie e sufficienti per dare corpo al nuovo paradigma Life Design.

I cinque presupposti della consulenza di orientamento condotta con l’approccio del Life design

I presupposti sono i seguenti:

  1. la consulenza di orientamento avviene in condizioni ben lontane da quelle controllate di laboratorio. In un contesto reale l’esame dei tratti di personalità, al fine di individuare professioni adatte, non dà risultati affidabili (7)
  2. il posto fisso non è più una realtà (sic), e gli operatori oggigiorno non sono in grado di dare ai propri clienti informazioni precise su tutte le specifiche richieste di un’occupazione dell’attuale mercato del lavoro; perciò, è impossibile trovare corrispondenze fra tratti personali e professioni (7). Per questo motivo gli operatori di orientamento (7) devono concentrare la loro attività sulle strategie per la sopravvivenza e sulle dinamiche di coping invece che sul quali professioni siano più adatte al cliente e su come il cliente può arrivare a svolgerle (8)
  3. La validità predittiva di determinati profili psicologici per buona parte delle attività professionali osservabili è limitata. Nel progettare la loro vita professionale le persone devono perciò evitare di considerare le attitudini e gli interessi come delle caratteristiche costanti. Molteplici, mutevoli e complesse catene decisionali, complicate da causalità reciprocamente dipendenti e perciò non lineari, diventano dunque la regola. (…) E’ necessario [perciò] passare da azioni che forniscono suggerimenti per la presa di decisione ad azioni che facilitino la co-costruzione e il supporta ad un progetto di vita più olistico (8).
  4. I percorsi professionali sono oggi molto differenziati, per questo motivo è utile utilizzare un approccio narrativo che faccia emergere i significati soggettivi attribuiti da ciascun cliente ai propri eventi di carriera (9)
  5. Per misurare l’efficacia delle attività di orientamento, l’utilizzo di disegni di ricerca basati su un gruppo di controllo non è affidabile. Per valutare l’efficacia della consulenza di orientamento è preferibile concentrarsi sui fractal pattern al fine di prevedere le emergenti configurazioni di variabili, piuttosto che concentrarsi su un’unica variabile di risultato nella valutazione della consulenza (9).

Uno schema concettuale per gli interventi di Life Design

In questa sezione del documento Laura Nota, Jerome Rossier, Mark Savickas, Jean Guichard e gli altri descrivono le caratteristiche che devono avere gli interventi di orientamento che si ispirano al Life Design. Vediamo alcuni aspetti principali.

  1. L’attività di orientamento dovrebbe svolgersi lungo tutto l’arco della vita e dovrebbe anche aiutare le persone a determinare quali abilità e conoscenze considerano importanti per il loro sviluppo nel corso del tempo e a individuare “come” (il metodo necessario), “con chi” (la persona o la specialista che può dare loro il sostegno necessario), “dove” (l’ambiente in cui l’apprendimento dovrebbe avere luogo) e “quando” (il momento migliore) queste abilità possono essere apprese (10).
  2. Le persone impegnate a costruire la propria vita professionale dovrebbero venire incoraggiate a considerare contemporaneamente tutti i ruoli salienti della stessa [ad esempio marito, padre, etc.] (10).
  3. La persona dovrebbe venire incoraggiata ad analizzare i teatri di vita in cui possono venire interpretati i diversi ruoli e utilizzare i risultati di quest’analisi nel processo di costruzione della propria identità professionale (10).
  4. Le attività di orientamento devono limitarsi ai momenti di transizione, ma prima che le transizioni si verifichino (10).
Master in Orientamento degli adulti
Master in Orientamento degli adulti

Gli obiettivi degli interventi di Life Design

I principali obiettivi degli interventi di Life Design sono i seguenti:

  • l’adattabilità alle difficoltà professionali e alle transizioni lavorative e la capacità di prevedere i cambiamenti e il proprio futuro in contesti mutevoli, (11)
  • Gli interventi di orientamento dovrebbero utilizzare la tecnica narrazione, in modo da far emergere le proprie identità. Gli operatori devono saper aiutare le persone a diventare pienamente consapevoli dei modi in cui organizzano i ruoli più importanti della loro vita (compresi quelli del passato) e delle principali aspettative ad essi collegate, e di incoraggiare gli individui a trovare delle strategie per soddisfarle, come per esempio, definire le priorità, identificare i supporti necessari, coltivare risorse e impegnarsi in determinate attività (11-12)
  • Gli operatori dovrebbero promuovere attività nei diversi ambiti della vita (12)

Il modello di intervento del Life Design

Nell’ambito dell’approccio Life Design l’intervento si caratterizza per l’attenzione alle storie e alle attività piuttosto che a punteggi di test e ai profili che si ricavano dal loro utilizzo. In breve, sono previsti in linea generale 6 passi (12).

Fase 1

In primo luogo, il cliente e il consulente devono definire il problema e identificare ciò che il cliente spera di ottenere dalla consulenza. (…) Nell’ambito di questa relazione il consulente può incoraggiare le persone a descrivere tramite le storie i problemi che vogliono affrontare. Mentre il cliente procede con il racconto, il consulente stimola a riflettere sui possibili significati della storia presentata. (…) Il dialogo deve aiutare i clienti a diventare consapevoli dei principali ambiti in cui si articola la loro vita (p.13).

Fase 2

Dopa aver identificato il problema e il principale contesto in cui esso si manifesta, (…) cliente e il consulente analizzano il modo in cui il primo si percepisce al momento attuale, come organizza il proprio sé e come opera in un determinato ruolo/dominio.

Fase 3

Il terza passo si propone di aprire delle nuove prospettive. (…) [dopo un’accurata analisi di quanto emerge nelle storie raccontate nella fasi precedenti] Il consulente potrebbe poi chiedere al cliente se c’erano delle alternative che ha scartato, dei sogni distrutti e delle scelte che si è precluso. Può essere questo il momento di riesaminare di nuovo queste storie silenziose.

Fase 4

Dopo questa revisione della storia della persona, il quarto passa è quello di collocare il problema in questa nuova prospettiva, e questo è il momento essenziale di tutto il processo. (…) La risoluzione del problema e il cambiamento da parte del cliente avviene nel momento in cui egli o ella cristallizza le nuove anticipazioni ed esprime un possibile sé che prima dell’intervento aveva solo vagamente intuito. Questa fase si completa nel momento in cui il cliente sintetizza il vecchio ed il nuovo selezionando e provando ad impegnarsi in alcuni ruoli e identità.

Fase 5

Il quinto passo è quello di specificare alcune attività che permettono di provare e attualizzare tale nuova identità. Il cliente ha bisogno d’impegnarsi in alcune attività collegate al possibile sé che ora sta narrando.

Fase 6

La fase sei è di accompagnamento, a breve o a lungo termine (p.13).

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Un commento del documento Il Life Design: un paradigma per la costruzione della vita professionale nel XXI secolo

Una sintesi

Le critiche di Laura Nota, Jerome Rossier, Mark Savickas, Jean Guichard e gli altri sono indirizzate innanzitutto alla teoria tratti fattori sviluppata sulla base dell’opera di Frank Parsons, e in particolare l’utilizzo della psicologia differenziare (dei test, fra cui il RIASEC) per individuare le caratteristiche personali da collegare alle professioni.

L’altro bersaglio è la teoria degli stadi di carriera di Donald Super.  Per capire i termini del dibattito vedi i miei articoli L’orientamento in un’ottica costruttivista e L’orientamento narrativo al convegno vocational designing and professional counseling

Queste due teorie e le relative modalità di intervento orientativo sarebbero state rese obsolete dalla globalizzazione. La globalizzazione avrebbe portato alla fine del posto fisso e a percorsi professionali frammentati e precari. Inoltre, indipendentemente dalla globalizzazione, la psicologia differenziale, in anni recenti, avrebbe mostrato i propri limiti.

In un contesto di questo tipo non è utile rivolgere le attività di orientamento alla definizione delle caratteristiche personali delle professioni ad esse più adeguate.

Nelle attività di orientamento al contrario è necessario promuovere la resilienza e l’empowerment dei clienti, migliorando le loro capacità di adattamento a un contesto professionale fatto di molteplici esperienze lavorative precarie. L’empowerment risulterebbe dal far esprimere a ogni soggetto la propria soggettività attraverso l’approccio narrativo.

Una rappresentazione grottesca della stabilità occupazionale

Innanzitutto Laura Nota, Jerome Rossier, Mark Savickas, Jean Guichard e gli altri danno una rappresentazione grottesca della stabilità occupazionale attuale nei Paesi sviluppati. Non è assolutamente vero che il posto fisso sta diventando un mito e non è più una realtà (p.7).

In Italia al momento i lavoratori a tempo indeterminato sono oltre 15 milioni, contro 3 milioni di assunti a tempo determinato (13%) e 5 milioni di lavoratori autonomi.

La categoria lavoratori autonomi comprende artigiani, liberi professionisti, commercianti, agricoltori. Non è possibile considerare come ‘precari’ tutti i lavoratori autonomi. Una parte dei lavoratori autonomi ha dei buoni redditi e una buona posizione sul mercato (pensiamo ad esempio ai notai).

Il rapporto fra indeterminati e a termine, negli ultimi 20 anni, si è mantenuto sostanzialmente stabile. Nel periodo 2008 – 2022 in Italia i lavoratori con contratto a tempo determinato sono passati da 2,3 a 3 milioni. Dunque almeno in Italia la copertura mediatica del lavoro precario e dell’esperienza dei lavoratori precari, che sono costantemente oggetto di dibattito, è assai maggiore del loro peso nell’occupazione totale.

Nel 2020  anche nell’Unione europea i lavoratori con contratto a termine erano  il 13% del totale. E ugualmente 13% era la percentuale nell’Unione europea dei lavoratori autonomi. Questa percentuale è rimasta sostanzialmente costante dal 2008 al 2020.

Il problema di percorsi professionali frammentati riguarda perciò solo una frazione minoritaria dei lavoratori. Questo non autorizza a ignorare le difficoltà e le sofferenze di quanti hanno attività precarie e faticano a inserirsi nel mercato del lavoro. Le loro sofferenze vanno considerate e la loro situazione migliorata.

La situazione reale del mercato del lavoro, però, è completamente diversa da quella delineata dagli Autori. Sorprende che studiosi di alto livello come Laura Nota, Jerome Rossier, Mark Savickas, Jean Guichard e gli altri possano essere così male informati. Questo travisamento della realtà ha probabilmente contribuito all’elaborazione di una teoria estrema.

Concordo che disoccupazione e impieghi a termine creino identità professionali deboli. Vedi il mio articolo Cos’è l’identità professionale e come migliorarla e che gli operatori di orientamento hanno necessità di tecniche specifiche per lavorare con questa tipologia di utenti. Vedi il mio articolo Il check up professionale, uno strumento per la consulenza di carriera.

La teoria tratti fattori e il test RIASEC funzionano ancora abbastanza bene

Obietto sull’asserita inefficacia della teoria tratti fattori (e più in generale, della psicologia differenziale) e sull’assoluta imprevedibilità dei percorsi professionali.

Gli Autori fanno a riguardo affermazioni troppo categoriche.

E’ vero che la consulenza di orientamento avviene in un contesto diverso da quello di laboratorio, ma questo vale per tutte le teorie dell’orientamento, anche quelle propugnate dagli autori.

Non ho motivi particolari per difendere i test nell’orientamento (che fra l’altro personalmente non utilizzo) ma la validità dei principali test di orientamento (ad esempio del RIASEC di Holland) è stata confermata da numerosi studi svolti anche sul campo.

Il fatto che le persone abbiano caratteristiche diverse, che queste caratteristiche tendono a rimanere stabili nel tempo e che professioni diverse, per essere svolte bene, richiedono caratteristiche diverse risulta anche dall’esperienza di migliaia di operatori di orientamento che continuano a basare la loro attività sulla teoria tratti fattori di Parsons.

Poi, tutti sappiamo, con riferimento al RIASEC di Holland, che gli interessi professionali sono solo uno dei fattori utilizzati dalle persone per scegliere le proprie professioni obiettivo, e, con riferimento alla teoria tratti fattori, che identificare una professione obiettivo non è sufficiente per arrivare a svolgerla, ma le caratteristiche personali ci indicano la strada.

L’approccio degli Autori non è nuovo

Obietto anche sulla novità delle critiche alle pratiche dell’orientamento tradizionali, ad esempio io ho scoperto l’approccio costruttivista all’orientamento da un articolo del 2002 (pubblicato perciò 7 anni prima dell’articolo che sto recensendo): McMahon M., Patton W., Using Qualitative Assessment in Career Counseling, su International Journal for Educational and Vocational Guidance, 2, 2002.

E ugualmente ho un libro del 1997 (perciò di 12 anni anteriore all’articolo sul Life Design) che descrive in dettaglio l’approccio narrativo all’orientamento: Cochran L. (1997) Career Counseling. A Narrative Approach.

Savickas da parte sua ha già sviluppato in precedenza un approccio all’orientamento chiamato con lo stesso nome. Vedi il mio articolo Il Life Design Counseling di Mark Savickas.

Per questi motivi non parlerei proprio di ‘un nuovo paradigma per l’orientamento nel XXI secolo’ come fanno Laura Nota, Jerome Rossier, Mark Savickas, Jean Guichard e gli altri.

Il costruzionismo sociale porta risultati paradossali (non solo nell’orientamento)

Se, come sostengono gli Autori nella loro visione estremizzata, non esistono strumenti validi per identificare le caratteristiche personali e le professioni collegate, e i percorsi professionali sono totalmente imprevedibili, allora una storia vale l’altra.

Vale a dire che, almeno nell’ufficio dell’operatore di orientamento impegnato nel colloquio col suo cliente, tutto è possibile. Ad esempio (per farmi capire scelgo un esempio volutamente estremo) è possibile che una persona dotata di scarse abilità sociali e licenza media  decida di impegnarsi (e ottenere dal consulente la validazione del suo obiettivo), per trovare un lavoro di amministratore delegato di una multinazionale, a condizione che sia in grado di immaginare e raccontare una storia di sé nel nuovo ruolo.

Le identità professionali diventano così, almeno nell’ufficio del consulente di orientamento, il frutto di semplici atti di volontà, senza alcun vincolo contestuale.

Sarà poi la realtà stessa, successivamente, a riportare coi piedi per terra l’incauto utente quando si candiderà, per anni, senza successo per tale ruolo.

In questo modo viene meno una delle funzioni fondamentali dell’operatore di orientamento: fare un esame di realtà degli obiettivi e dei piani d’azione dei propri clienti e suggerire miglioramenti.

Come riconosciuto dagli Autori, siamo in pieno costruzionismo sociale.

L’orientamento come la teoria gender

Mi viene in mente la cosiddetta teoria gender: l’identità di genere maschile e femminile e i collegati ruoli sociali vengono visti privi di basi oggettive, semplici costrutti della società.

L’unico discrimine per una scelta di identità, orientamento e ruolo sessuale diventa ‘la percezione di sé’.

Con risultati anche in questo caso paradossali: atleti biologicamente maschi che nelle discipline sportive pretendono di competere con le donne, stupratori che ottengono di farsi trasferire nel braccio femminile del carcere perché ‘si sentono donne’, persone che in 15 minuti ottengono di essere dichiarati di un genere diverso per ottenere vantaggi economici o di altro tipo (ad esempio andare in pensione prima o non fare il militare).

Volendo, posso fare anche altro. Perché promuovere la preminenza della percezione di sé sul dato  biologico solo in riferimento al genere? Ad esempio potrei affermare che, pur avendo 40 anni (età biologica) mi sento molto giovane e pretendere l’iscrizione alla prima elementare, oppure che invece mi sento molto vecchio e pretendere che mi sia corrisposta la pensione di vecchiaia. E ancora (qui promuoviamo la preminenza della percezione di sé sul luogo di nascita), potrei affermare che mi sento inglese e pretendere il passaporto britannico.

Vedi anche la recente affermazione del il presidente del Comitato Olimpico Thomas Bach secondo cui non ci sarebbe un sistema ‘scientificamente solido’ per distinguere uomini e donne.

Vedi anche il divertente e ben argomentato Sokal A. e Bricmont J. (1998) Intellectual Impostures. Postmodern philosophers’ abuse of science

 

Vedi i temi del dibattito.

Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.

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