Inizio con una definizione del counseling orientativo:
il counseling orientativo è un colloquio di orientamento condotto utilizzando le abilità di counseling.
Adesso devo collocare in contesto al definizione.
L’aiuto dell’orientamento
L’orientamento aiuta le persone a fare scelte corrette in ambito educativo e professionale. Ad esempio che scuola superiore scegliere, quale indirizzo universitario, quale professione, come formarsi per la professione desiderata, come fare una ricerca di lavoro per la professione desiderata.
Si distingue fra colloqui di informazione orientativa (brevi, a volte anche al telefono o via mail) che hanno lo scopo di dare informazioni, e consulenza di orientamento. Il termine consulenza (vedi anche consulenza legale, consulenza fiscale) implica un aiuto personalizzato alla persona. Nella consulenza di orientamento, prima di dare consigli / aiutare a individuare soluzioni è necessario approfondire la situazione del cliente / utente.
Questo approfondimento può essere fatto con varie tecniche. Una modalità è sottoporre l’utente / cliente a dei test (quelli tradizionali di personalità, interessi, attitudini, ma anche, più moderni, di autoefficacia, autostima, etc.). Un’altra tecnica è utilizzare le abilità di counseling.
Cos’è il counseling
Il counseling nasce negli anni ’30 come una modalità di psicoterapia sviluppata da Rollo May e Carl Rogers in opposizione alla psicoanalisi, che in quel periodo era la forma di psicoterapia egemone. Rogers ne parla in Counseling and Psychotherapy: Newer Concepts in Practice (1942) e poi in Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications and Theory (1951).
La messa a punto del counseling comporta anche una diversa denominazione del terapeuta, che viene chiamato counselor, in opposizione allo psicoanalista che invece è il terapeuta che usa la psicoanalisi.
La filosofia di Rogers
Secondo Rogers, il modo migliore di venire in aiuto a una persona che si trova in difficoltà non è dirle cosa fare (mediante un consiglio il cui contenuto razionale sia realmente sensato). Il modo migliore è invece aiutarla a comprendere la sua situazione e a gestire il problema prendendo da sola la responsabilità di scelte eventuali (così Di Fabio A., (1999:21) Counseling). L’aiuto consiste proprio nel rendere possibile una riattivazione e riorganizzazione delle sue energie (cognitive, emotive, strategiche). Si parte dal presupposto che in ogni persona ci sono delle potenzialità che gli permettono di sfruttare l’aiuto ricevuto e di farlo diventare una propria risorsa (così Pombeni M.L. (1996:15), Il colloquio di orientamento). I colloqui di counseling vengono condotti con speciali tecniche di interazione, la più importante è la riformulazione. la riformulazione consiste nel ridire con altre parole, e in maniera più concisa o più chiara, ciò che l’altro ha appena detto. In questo modo l’operatore ottiene l’accordo da parte dell’utente / cliente (così Mucchielli R., (ed. it. 1987: 71-72) Apprendere il counseling. Vedi anche Carkhuff R. (ed. it. 1988) L’arte di aiutare.
Esempi di riformulazioni e domande aperte
Sono esempi di riformulazioni frasi del tipo:
- In altre parole lei non è contento del lavoro attuale
- In altre parole ha perso la speranza di trovare un lavoro
- In altre parole non riesce a concentrarsi a sufficienza nello studio
- In altre parole da una parte lei vorrebbe abbandonare il lavoro attuale, dall’altra non è sicuro che in un’altra azienda si troverà meglio.
Un’altra tecnica che viene usata assieme alla riformulazione è quella delle domande aperte. Cosa sono le domande aperte? Le domande aperte sono delle domande a cui non è possibile rispondere con un sì o un no, con un numero o con un elenco. Sono esempi di domande aperte:
- Cosa può dirmi del suo lavoro attuale?
- Cosa può dirmi del suo approccio allo studio?
- Cosa può dirmi della prima ipotesi?
Le domande aperte invitano l’utente / cliente a raccontarsi, mentre le riformulazioni sintetizzano quello che ha detto facendolo sentire compreso e, in alcuni casi, offrendogli nuovi punti di vista.
Domande aperte e riformulazioni fanno parte delle abilità di counseling, cioè di quelle tecniche comunicative che vengono usate nel counseling rogersiano. Parlo di counseling rogersiano perché dopo Rogers, il termine counseling viene utilizzato anche per indicare genericamente approcci terapeutici diversi dalla psicoanalisi. In questa accezione il significato è semplicemente: ‘psicoterapia che segue un approccio terapeutico non psicoanalitico’.
Un’altra accezione che si è sviluppata per il termine counseling è quella di un colloquio, non necessariamente psicoterapeutico, ma semplicemente volto a sensibilizzare e migliorare le capacità di fronteggiamento di persone che vivono particolari condizioni cliniche. Ad esempio si parla di counseling genetico (sensibilizzazione sui rischi di determinate combinazioni di geni di cui la persona è portatrice), di counseling alcologico, etc.
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La diffusione delle abilità di counseling nell’orientamento
L’influenza dell’approccio rogersiano ha portato negli anni molte figure professionali che operano in ambito sociale o che comunque possono instaurare relazioni personali significative con i propri utenti / clienti, a sviluppare una pratica professionale e/o una modalità di comunicazione meno prescrittiva, più attenta all’ascolto e alla relazione, e più rispettosa delle esigenze dell’utente / cliente, pur senza praticare psicoterapia. Mi riferisco a medici, infermieri, assistenti sociali, educatori, insegnanti, consulenti di orientamento, parroci, avvocati.
L’uso di domande aperte e riformulazioni viene oggi consigliato anche nelle relazioni interpersonali familiari e amicali, ad esempio fra partner, fra genitori e figli (vedi ad esempio Gordon T. (ed. it. 2014) Genitori efficaci), fra amici.
L’evoluzione nel tempo
Fino agli anni ’70 le attività di orientamento erano basate soprattutto sulla diagnosi delle caratteristiche individuali svolta coi test e la prescrizione di determinati percorsi formativi o professionali. Con l’approccio non direttivo l’orientatore considera invece come suo compito principale facilitare nell’utente / cliente l’assunzione delle decisioni e lo sviluppo della capacità di auto orientamento. Su questo passaggio vedi il mio articolo L’orientamento in ottica costruttivista.
Il British Journal of Guidance & Counselling (febbraio 2000:5) racconta così questo processo:
(Intorno al 1973) ‘Career guidance practitioners began to incorporate counselling philosophies into their work. Ideas from client-centered counselling (Rogers 1965) and development psychology (Super 1975) were applied to guidance interviews and to the development of career education programmes in schools. In essence, the kay tasks of guidance changed from advising individuals about opportunities which matched their interests and skills to facilitating the development of decision-making skills.
Traduzione: (Intorno al 1973) ‘I consulenti di orientamento (inglesi) cominciarono a integrare l’approccio basato sul counselling nel loro lavoro. Idee riprese dalla consulenza basata sul cliente di Rogers e dalla psicologia evolutiva di Super cominciarono a essere applicate nei colloqui di orientamento e nelle attività di orientamento realizzate nelle scuole. In sostanza, i compiti dell’orientamento si spostarono dal suggerire agli utenti le opportunità più vicine ai loro interessi e capacità al promuovere negli utenti lo sviluppo di autonome capacità di scelta.’
Effetti sulla terminologia
Questo è anche il motivo per cui nel Regno Unito il termine che indica l’orientamento è passato da career guidance (guidance implica ‘guidare’) a career counseling. Il termine che indica chi eroga orientamento è passato invece da career advisor a career counselor. Anche in Italia, il nome degli operatori di orientamento è passato ‘consiglieri d’orientamento’ (denominazione ripresa dal francese conseiller d’orientation, in voga fino agli anni ’70) a ‘consulente di orientamento’. Il nuovo termine sfuma il riferimento al consiglio, non coerente con l’approccio rogersiano.
Definizioni di counseling orientativo
A questo punto credo che la definizione che ho dato in apertura sia pienamente comprensibile: il counseling orientativo è un colloquio di orientamento condotto utilizzando le abilità di counseling.
Un’altra possibile definizione è che:
il counseling orientativo è un colloquio di orientamento basato sull’ascolto professionale (cioè che utilizza tecniche di interazione specifiche, e non semplicemente sorrisi e buona volontà).
L’uso del termine counseling orientativo enfatizza che il colloquio non è una semplice intervista (volta, ad esempio, per raccogliere dei dati per necessità amministrative), un colloquio basato sui test e neanche una chiacchierata condotta alla buona.
Crescita e declino dell’interesse per il counseling
L’interesse per il counseling ha avuto un boom iniziato negli anni ’70 – ’90. Questo è dovuto al fatto che in questo periodo in molte regioni i servizi di orientamento o non esistevano o erano solo informativi (e perciò svolti in piedi a un bancone in pochi minuti). Il counseling invece enfatizzava l’importanza e dava strumenti per approfondire se necessario la situazione dell’utente e erogare un servizio di consulenza orientativa.
Il boom si è esaurito a inizio degli anni ‘2000, con l’emergere di nuove tecniche di colloquio e l’evoluzione di quelle rogersiane di cui parlerò fra poco. Il calo di interesse per il counseling è evidenziato anche da Google trends.
La differenza fra counseling e uso delle abilità di counseling
Dedico un capitoletto a questo tema perché voglio sia chiara la differenza.
Il counseling è una tecnica con cui psicologi, psicoterapeuti e eventualmente psichiatri possono lavorare su problemi di personalità o sul disagio psichico invalidante. Il consulente di orientamento, visto che utilizza alcune abilità di counseling, può fare lo stesso? Ovviamente no.
Lavorare su problemi di personalità o sul disagio psichico invalidante è assai più complesso che fare orientamento. Richiede inoltre una preparazione di tipo diverso e un’abilitazione di legge. Infine, richiede un incarico in questo senso da parte del soggetto che finanzia il servizio. L’incarico in un servizio di orientamento ad esempio in un centro per l’impiego, in una agenzia formativa o in una agenzia per il lavoro non prevede mai che l’operatore possa lavorare su problemi di personalità o sul disagio psichico invalidante. Questo anche nei casi in cui l’operatore sia professionalmente formato e legalmente abilitato a farlo.
La riserva vale anche nella direzione opposta. Padroneggiare le abilità di counseling ed essere formati e abilitati per lavorare su problemi di personalità e disagio psichico invalidante non è sufficiente per lavorare bene come operatori di orientamento. Lavorare nell’orientamento richiede conoscenze e tecniche specifiche. Sui rischi di lavorare nell’orientamento senza determinate conoscenze specifiche vedi il mio articolo I rischi di fare orientamento con la sola formazione da coach.
Perciò, per evitare malintesi, personalmente preferisco parlare di colloqui di orientamento svolti utilizzando le abilità di counseling invece che di counseling orientativo.
Non solo abilità di counseling nei colloqui di orientamento
Critiche a Rogers
Il colloquio di orientamento è fatto di fasi diverse dove l’operatore lavora con tecniche diverse, vedi Come condurre un colloquio di orientamento? Nella fase intermedia l’operatore ha necessità di comprendere bene la situazione dell’utente e di creare una relazione, ma nella fase successiva l’obiettivo è attivare il cliente / utente nella redazione di un piano d’azione.
Rogers ritiene che il colloquio condotto secondo il proprio approccio (focalizzandosi sulla messa a fuoco dei pensieri e dei sentimenti dell’utente / cliente grazie alle riformulazioni) sia sufficiente a garantire l’attivazione da parte dell’aiutato dei comportamenti più opportuni per risolvere il proprio problema (Folgheraiter in Mucchielli, p.18).
Questa posizione è stata criticata da vari autori. Ad esempio, secondo Carkhuff (40-44) e Miller W., Rollnick S (ed. Italiana 1994:34 e 74) Il colloquio di motivazione ritengono che il focus sulla chiarificazione non sia sufficiente per assicurare che l’utente / cliente adotti poi dei comportamenti adeguati. Anche Egan G. (1998) The Skilled Helper. A Problem-Management approach to Helping, Ali L. Graham B. (1996:25) The Counselling Approach to Careers Guidance e Mucchielli (p.77) suggeriscono di dare consigli e/o informazioni e di adottare specifiche strategie (oltre alla semplice riformulazione) per aiutare il cliente a immaginare e mettere in atto piani d’azione per raggiungere gli obiettivi desiderati.
Altre tecniche per il colloquio di orientamento
Ti segnalo 3 tecniche aggiuntive che, nella mia esperienza, facilitano l’attivazione dell’utente.
Le riformulazioni orientate all’azione di Carkhuff
Tecnica 1. Carkhuff suggerisce di riformulare il vissuto del cliente in senso orientato all’azione (ad esempio con la formula ‘Ti senti………… perché non riesci a………. e vorresti……….’) e di
- aiutarlo a definire obiettivi misurabili (ad esempio numero di contatti settimanali con possibili datori di lavoro),
- elaborare dei piani d’azione strutturati in senso logico e temporale (cosa fare, inclusi passi intermedi e quando),
- prevedere dei rinforzi (premi e/o ‘punizioni’) riferiti ai comportamenti concordati,
- monitorare la messa in atto programmi e adottare misure correttive in caso di scostamenti.
Le riformulazioni centrate sulla fase della ruota del cambiamento
Tecnica 2. Miller e Rollnick esaminano in dettaglio le dinamiche interne delle persone con comportamenti disfunzionali (quali ad esempio alcolisti e tossicodipendenti) a cui non riescono a fare fronte. Davanti all’insuccesso dei propri sforzi, queste persone seguono un processo a fasi (la ruota del cambiamento). Le fasi possono essere ambivalenza verso un cambiamento desiderato ma ritenuto fuori dalle proprie possibilità, la determinazione ad agire, azioni di cambiamento, la disillusione in caso di insuccessi. Troviamo queste fasi anche in alcune persone che stanno conducendo una ricerca di lavoro senza risultati. Miller e Rollnick suggeriscono di usare le riformulazioni, ma di adattarle alla fase specifica in cui si trova l’utente. Ad esempio con utenti in fase ambivalente l’operatore utilizzerà le riformulazioni per evidenziare gli effetti negativi dell’inattività, i risultati positivi ottenibili con l’attivazione, il rafforzamento dell’autoefficacia. Per dettagli vedi La ruota del cambiamento e Il Colloquio Motivazionale: una tecnica per promuovere il cambiamento personale. E’ una tecnica che almeno finora non insegno nei miei corsi di formazione perché è utile solo con una parte degli utenti e non è di apprendimento immediato.
Le abilità di coaching
Tecnica 3. L’approccio del coaching è una modalità di interazione con l’utente / cliente che mira a lasciargli il più possibile l’iniziativa. Seguono l’approccio del coaching domande del tipo: Che risultato vorrebbe ottenere in questo incontro? Se questo è il risultato desiderato, quali sono i passi per arrivarci? Seguendo questo approccio, negli anni ho introdotto nelle mie tecniche di colloquio una serie di schemi per dare informazioni, manifestare le mia perplessità su piani d’azione che non mi sembrano convincenti, aiutare a impostare una ricerca di lavoro, etc.
Alla luce di questi sviluppi, utilizzare nel colloquio di orientamento solo domande aperte e riformulazioni appare limitante. Per lo stesso motivo, nell’ambito dell’orientamento l’uso del termine counseling orientativo è diminuito. Il counseling orientativo, oggigiorno, non viene più visto come una grande novità, anche se c’è una ampia fetta di operatori di orientamento che ha imparato sul campo e non utilizza in modo sistematico neanche domande aperte e riformulazioni.
Come imparare il counseling orientativo (e le altre tecniche efficaci)
In che modo imparare le abilità di counseling necessarie per svolgere counseling orientativo (e le altre tecniche efficaci di cui parlo sopra)?
Di nuovo, fai attenzione alla differenza fra corsi che ti insegnano il counseling (ti insegnano cioè a lavorare su problemi di personalità e disagio psichico invalidante) e corsi che ti insegnano le due abilità di counseling (domande aperte e riformulazioni) di cui hai necessità per svolgere counseling orientativo. I corsi che ti insegnano il counseling non ti mettono in condizioni di lavorare nell’orientamento perché sono tarati su problemi di vita in generale. In più durano alcuni anni e costano migliaia di euro. Lo stesso discorso vale anche per le tecniche di coaching. I corsi standard di coaching non sono tarati sulle necessità di chi deve svolgere attività di orientamento (e ugualmente hanno un costo elevato). Il mio articolo citato sopra fa una serie di esempi sui limiti di lavorare nell’orientamento con la sola formazione di coaching.
Per imparare il counseling orientativo e le altre tecniche di cui parlo nel capitolo precedente ti consiglio invece la mia formazione. Puoi seguire il mio corso La gestione del colloquio di orientamento e nel Master in orientamento degli adulti. Vedi l’elenco dei miei corsi.
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. Leggi Informativa privacy, cookie policy e copyright.