Il deserto è per definizione un ambiente inospitale e inadatto alla vita umana. Un mercato del lavoro desertificato è un mercato dove i buoni posti di lavoro scarseggiano e quelli disponibili non vengono attribuiti in base al merito.
Contribuiscono In particolare alla desertificazione del mercato del lavoro i contratti di lavoro a tempo indeterminato (una assunzione a tempo indeterminato toglie dal mercato un posto di lavoro per un tempo lunghissimo) e le raccomandazioni (un posto assegnabile per raccomandazione è un posto di lavoro non disponibile per la maggior parte dei disoccupati).
In questi ultimi anni è diventato evidente (basta seguire le cronache) come interi settori del mercato del lavoro italiano siano in tutto o in parte desertificati, in particolare:
- gli enti pubblici centrali e locali, incluse aziende sanitarie
- le università
- le grandi aziende pubbliche o ex pubbliche quali ad esempio RAI e Poste Italiane
- le banche
- i settori di attività riservati alle professioni protette per legge
Alcuni riferimenti (potrebbe essere aggiornato continuamente, rinuncio per stanchezza):
- In RAI scambiati posti di lavoro contro prestazioni sessuali o per appartenenza politica. fonte: L’Espresso 29 giugno 2006
- Nel gennaio 2006 è stata approvata una legge che permette agli ex parlamentari e ex consiglieri regionali di diventare (senza alcuna esperienza in materia) direttori generali, amministrativi e sanitari presso le Asl locali
- Scoperto alle Poste Italiane un database informatizzato per la gestione delle raccomandazioni contenente migliaia di segnalazioni, delle quali circa 1/4 conclusesi con l’assunzione. Fonte: L’Espresso, 15 settembre 2005
- Mediamente una volta ogni due mesi viene inquisito qualche docente universitario per vicende legate ai concorsi. Secondo il Ministro Fabio Mussi (intervista a La Repubblica del 15-7-2006) ‘I concorsi universitari in Italia hanno funzionato poco e male. Quelli locali, quelli nazionali, è sempre stata una sorta di Torre di Babele, dove hanno avuto vita facile l´arbitrio, le parentele, le conoscenze accademiche e politiche.’
In che modo misurare il grado di desertificazione di un determinato mercato del lavoro? Alcune idee:
- percentuale di persone occupate a termine e a collaborazione rispetto al totale occupati. Minore è la percentuale, maggiormente desertificato è il mercato del lavoro
- grado di difficoltà del licenziamento di persone assunte a tempo indeterminato. Maggiore è la difficoltà maggiormente desertificato è il mercato del lavoro
- percentuale di posti di lavoro trovati tramite raccomandazioni
- numero di posti di lavoro pubblicizzati mediamente disponibili in un determinato periodo (numero posti di lavoro pubblicizzati su numero totale persone in cerca di lavoro)
- numero di assunzioni per posti di lavoro pubblcizzati su totale assunzioni in un determinato periodo
- numero di assunti in un determinato periodo su totale occupati
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Egregio Dott. Evangelista,
ho letto il suo articolo sulla desertificazione del mercato del lavoro, l’ho trovato interessante ma, se me lo consente, incompleto. Alla desertificazione contribuiscono anche altri elementi che io sto sperimentando in prima persona:
- l’atteggiamento del mercato del lavoro rispetto alla ricollocazione di persone sopra i 40 anni, si è considerati vecchi e inutili.
- L’abuso del contratto a progetto, usato con grande lassismo per qualunque ruolo
- l’abuso degli stage e dei tirocini gratuiti, che non servono, in molti casi, per formare una persona da inserire successivamente, ma spesso, troppo spesso, sono un’escamotage delle aziende per avere un continuo ricambio di lavoratori a costo zero
- l’impennata del lavoro nero, la flessibilità del mercato del lavoro, ben lungi dal ridurre questa vera e propria piaga sociale l’ha amplificata.
Chi le dice questo è una persona di 43 anni, che ha perso il lavoro 3 anni fa è che si è trovata in una spirale sempre più profonda, che ha accettato a 40 anni di fare un tirocinio gratuito per poter avere una possibilità di reinserimento e che dopo 4 mesi di tiriconio gratuito e 3 mesi di contratto è stata messa alla porta perchè non accettava di fare 36 ore sul posto e altre 14 gratis a casa ogni settimana, e che poi ha vagato tra contratti a termine sempre più brevi, l’ultimo di appena una settimana, e tra un contratto e l’altro lunghi periodi di stallo, e che attualmente, dovendo pur vivere, ha accettato di lavorare in nero. Questo dopo 20 anni di lavoro, con un curriculum in cui la formazione non è strabiliante, ma le esperienze professionali di tutto rispetto.
Cordialmente
Filomena
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Ciao Filomena,
ti ringrazio molto per la tua testimonianza. Sono d’accordo che il mio articolo è incompleto, volevo soprattutto ‘lanciare’ il concetto di desertificazione. Continuo a pensare che se per assurdo sparissero tutte le raccomandazione e tutti i lavori fossero a termine (anche quelli ‘buoni’ ad esempio nel pubblico impiego) sarebbero continuamente disponibili un numero molto maggiore di posti di lavoro e i più bravi e motivati ne sarebbero avvantaggiati, con un beneficio complessivo anche per la competitività e l’economia italiana. Al momento infatti la (sacrosanta) tutela della sicurezza economica dei cittadini grava sulle spalle delle imprese, le quali sono costrette a tenersi i lavoratori (quelli assunti a tempo indeterminato) anche quando non ne hanno bisogno, e da alcuni anni cercano di ridurne il costo utilizzando quanto più possibile collaboratori a termine e a contratto (nota 1). L’obbligo per le imprese di assicurare la sicurezza economica dei cittadini può andar bene in un’economia autarchica, ma ha effetti deleteri in economie aperte alla concorrenza internazionale come è adesso quella italiana. Della sicurezza economica dei cittadini (e di tutti i cittadini, non solo di quelli assunti a tempo indeterminato) dovrebbe invece farsi carico lo Stato, attingendo alle risorse reperite con la fiscalità generale. Questo porterebbe un miglioramento anche in termini di equità: il dipendente Alitalia o FIAT ha il privilegio di cassa integrazione, mobilità retribuita e magari del prepensionamento, mentre il cocopro, il commerciante, l’artigiano, il lavoratore a partita iva può perdere dalla mattina alla sera ogni fonte di reddito. Attualmente in Italia la spesa pubblica per indennità di disoccupazione e la percentuale di disoccupati con sussidio sono le più basse d’Europa (nota 2). E’ chiaro che in un contesto di questo tipo disoccupazione e impieghi intermittenti possono creare situazioni personali drammatiche. Ci viene detto che non ci sono i soldi per assicurare una tutela del reddito significativa e uniforme a tutti i cittadini che perdono il lavoro o disoccupati, ma questo dipende dal fatto che in Italia, contrariamente alla maggioranza degli altri Paesi europei, una parte esagerata della spesa statale è destinata a pagare pensioni. In Italia ci sono 16 milioni di persone che ricevono una pensione (di queste 4 milioni hanno fra i 40 e i 64 anni); nella maggioranza dei casi la pensione è superiore (spesso molto superiore) ai contributi a suo tempo versati (nota 3) e così la massa delle pensioni assorbe gran parte delle risorse statali che in altri Paesi europei vengono invece utilizzate per assicurare a tutti i cittadini una indennità di disoccupazione significativa. Un quadro delle gestioni in perdita è dato dall’articolo Inps, il sistema delle pensioni non regge
Ecco le perdite del 2013. Pagano i precari: nel 2013 INPS ha avuto un deficit di quasi 13 miliardi di euro. Sui costi e le ingiustizie del sistema pensionistico italiano le notizie sono numerosissime. vedi ad esempio Un comma sparito cancella il tetto alle pensioni d’oro. Le pensioni italiane assorbono il 32%della spesa pubblica, è la percentuale più alta in Euopa.
Note:
1. Tanto maggiore è la difficoltà di licenziare i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato tanto più alta è la percentuale di lavoratori precari (cioè assunti a con contratto di lvoro dipendente a termine oppure con contratti di collaborazione); si veda ad esempio Accornero A. (2006). San Precario lavora per noi, pp.47-48. Una notazione curiosa è che in Italia fino al 1926 il lavoro dipendente a tempo indeterminato era vietato e la forma ordinaria di prestazione lavorativa era quella a termine; successivamente la situazione viene ribaltata (Accornero, op. cit, 156). Sulle forzature provocate dall’imposizione del contratto di lavoro a tempo indeterminato come contratto di lavoro standard si vedano le pp. 157-160.
2. Accornero A. (2006), op. cit., p.144.
3. Alvi G. (2006). Una Repubblica fondata sulle rendite, pp.16-19.
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. L’articolo rispecchia le opinioni dell’autore al momento dell’ultima modifica. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.