Attenzione, la direttiva di cui parla questo articolo è stata emendata.
La direttiva 36/2005 (Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, pubblicata su Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 30.9.2005) fissa le condizioni per poter esercitare determinate professioni in Paesi europei diversi da quelli in cui la persona ha la cittadinanza e ha svolto i propri studi o la propria esperienza professionale. La direttiva entra in vigore (e deve essere recepita dai singoli Paesi membri) entro il 20 ottobre 2007.
Le professioni soggette alla normativa sono le professioni regolamentate (art.1, d’ora in poi i numeri arabi indicano il numero degli articoli) quali ad esempio:
- Le attività libero professionali per lo svolgimento delle quali i singoli stati prevedono dei requisiti specifici in termine di titolo di studio e/o di tirocinio e/o di superamento di un apposito esame con valore abilitante (ad esempio medico, ingegnere, farmacista, etc.)
- Altre attività in ambito industriale, artigianale e commerciale per le quali i singoli stati prevedono requisiti speciali in termine di titolo di studio e/o di tirocinio e/o di superamento di un apposito esame con valore abilitante e/o precedente esperienza lavorativa (ad esempio gestore di albergo, di lavanderia, di estetista, di agenzia di viaggi, di guida turistica, etc.)
IN SINTESI: L’impostazione iniziale della Commissione era che quanti fossero abilitati allo svolgimento di una determinata professione nel proprio Paese UE, potessero automaticamente svolgere attività (e se lo desideravano insediarsi) in tutti gli altri Paesi UE. Questa impostazione è stata poi modificata in fase di approvazione della direttiva a favore di un sistema che prevede la possibilità di un controllo della professionalità da parte del Paese ‘ospitante’. Inoltre adesso è vietato che un cittadino ad esempio italiano con un titolo conseguito in Italia che non abilita allo svolgimento di una determinata professione in Italia ma sia sufficiente per lo svolgimento della medesima professione ad esempio in Spagna possa abilitarsi allo svolgimento della professione in Spagna e su questa base esercitare la professione anche in Italia.
Secondo la direttiva approvata sono possibili vari casi:
1. Prestazioni temporanee di servizi da parte di prestatore abilitato nel proprio Paese e che abbia esercitato l’attività nel proprio Paese da almeno 2 anni (5): possibile la prestazione in altri Paesi senza dover iscriversi all’albo e all’ente di previdenza sociale dell’altro Paese (6). Tuttavia lo Stato ospitante può: A. richiedere una dichiarazione preventiva con informazioni su nazionalità, qualifica, esperienza, assenza condanne penali, copertura assicurativa, etc (7); B. per professioni aventi ripercussioni in materia di pubblica sicurezza e di sanità pubblica può richiedere una preliminare verifica anche attitudinale (7); C. per prestazioni effettuate utilizzando un titolo diverso da quello comunemente utilizzato nel Paese ‘ospite’, può richiedere che il prestatore fornisca al destinatario del servizio una serie di informazioni quali ad esempio numero di iscrizione ad albo, autorità di vigilanza dell’albo, ordine professionale di iscrizione, partita IVA, etc. (9).
2. esercizio stabile di attività in Paese ‘ospitante’ delle professioni di medico, dentista, infermiere, farmacista, veterinario, architetto (professioni per le quali è già stato concordato e adottato a livello europeo un sistema minimo di formazione) (capo III, artt da 21 a 55). Ogni Paese membro riconosce automaticamente come abilitanti all’esercizio della professione i titoli conseguiti negli altri Paesi. L’effettivo svolgimento dell’attività è subordinato al possesso di conoscenze linguistiche adeguate (53). Le norme in precedenza previste per queste professioni sono abrogate (art.62).
3. esercizio stabile di attività in Paese ‘ospitante’ di professioni diverse da medico, dentista, infermiere, farmacista, veterinario, architetto (che hanno già adottato un sistema minimo di formazione a livello europeo) e da professioni in ambito industriale, artigianale e commerciale (in pratica le professioni a cui si riferisce questo punto sono le professioni regolamentate libero professionali residue, quali ad esempio ingegnere, biologo, psicologo, etc., (Capo I, artt. Da 10 a 15), mentre apparentemente la direttiva non modifica quanto già disposto per avvocati e notai. Vengono identificati 5 livelli di formazione: 1. attestato di competenza (relativo a percorso di formazione che non ha previsto la frequenza di una scuola secondaria), 2. certificato (completamento di ciclo di studi secondari), 3. diploma che attesta 1 anno di formazione post secondaria, 4. diploma che attesta almeno 3 anni di formazione post secondaria 5. diploma che attesta almeno 4 anni di formazione post secondaria. Nel caso che la persona che desidera svolgere la propria professione in un Paese diverso: A. sia in possesso di titolo dello stesso livello a quello previsto per l’esercizio della professione nel Paese ‘ospitante’, oppure B. sia in possesso di un titolo del livello immediatamente precedente, oppure C. sia in possesso di un titolo di qualunque tipo che comunque abilita la persona allo svolgimento di quella determinata professione (12), oppure D. provenga da un Paese dove la professione non è regolamentata e abbia svolto per almeno 2 anni a tempo pieno tale professione e sia in possesso di un titolo di dello stesso livello o di livello immediatamente inferiore, allora in questi casi il Paese ospitante può:
–> riconoscere automaticamente abilitanti uno o tutti i suddetti titoli o esperienze indicate in precedenza da A a D oppure
–> richiedere alla persona di svolgere una integrazione (‘compensazione’) della propria formazione sotto forma di un tirocinio di adattamento non superiore a 3 anni oppure, in genere a scelta, di sostenere una prova attitudinale.
4. per le professioni di cui al punto 3 precedente è anche possibile che stati membri o associazioni professionali presentino alla Commissione delle ‘piattaforme comuni’ (art.15). Per piattaforme comuni si intende (premessa n.16 della Direttiva) ‘una serie di criteri che consentono di colmare la più ampia gamma di differenze sostanziali che sono state individuate tra i requisiti di formazione in almeno due terzi degli Stati membri, inclusi tutti gli Stati membri che regolamentano la professione in questione. Tali criteri potrebbero ad esempio includere requisiti quali una formazione complementare, un tirocinio di adattamento, una prova attitudinale o un livello minimo prescritto di pratica professionale, o una combinazione degli stessi.’ Nel caso tale piattaforma sia approvata, il Paese ospitante può uniformare la propria richiesta di integrazione a quanto previsto dalla piattaforma (sia in senso più restrittivo che meno restrittivo).
5. esercizio stabile di attività in Paese ‘ospitante’ di professioni regolamentate in ambito industriale, artigianale e commerciale (capo II, artt.16-17). La Direttiva fissa un numero minimo di anni di attività pregressa in ciascuno dei settori e delle attività indicate nell’Allegato IV alla Direttiva.
NB: trattandosi di materia complessa, queste informazioni sono date senza alcuna responsabilità da parte nostra sulla loro attendibilità. Per avere informazioni sicuramente attendibili è necessario leggere direttamente la direttiva. Leggi la Direttiva http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/it/oj/2005/l_255/l_25520050930it00220142.pdf
Note: Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. L’articolo rispecchia le opinioni dell’autore al momento dell’ultima modifica. Può essere riprodotto (stampa dal sito per uso personale) citando la fonte.