Nascita e sviluppo della ricerca qualitativa

qualitative research

La prima parte di questo articolo è una sintesi della illuminante introduzione di Giampietro Gobo, dal titolo La ricerca qualitativa. Passato, presente, futuro al libro Silverman D. (trad. it. 2002) Come fare ricerca quantitativa. I numeri indicano le pagine del libro. ll testo è stato scritto con un programma di sintesi vocale, perciò possono esserci degli errori.

Sebbene la ricerca qualitativa abbia più di un secolo di storia, il primo testo che cercò di definirne la metodologia apparve soltanto 80 anni più tardi, alla fine degli anni 60. The Discovery of Grounded Theory: Strategies for Qualitative Research di Glaser e Strauss (1967) è riconosciuto come il primo contributo articolato sulla metodologia qualitativa 15.

Gobo elenca alcuni possibili motivi per questo ritardo.

In primo luogo è probabile che il termine metodologia sia stato per lungo tempo considerato, almeno fino all’inizio degli anni 50, un’esclusiva prerogativa del metodo sperimentale e, successivamente dell’inchiesta campionaria, quasi un loro sinonimo. In altre parole, era abbastanza comune identificare le particolari procedure in uso nei laboratori e negli istituti di sondaggio come gli unici metodi scientifici disponibili 16. (…) Fino alla fine degli anni 50, nelle scienze sociali, la riflessione metodologica era rivolta a migliorare esclusivamente il metodo del sondaggio e dell’inchiesta 16. Alcuni studiosi usavano l’osservazione partecipante, l’analisi dei documenti, l’intervista discorsiva, ma la riflessione metodologica nei loro lavori era marginale, non sistematica, forse perché tali studiosi ritenevano, a torto, che questi metodi fossero per loro natura poco sistematici o incanalabili in regole. Oppure perché, cosa ben più grave, li concepivano esclusivamente come mezzi utili a migliorare il questionario, cioè strumenti da utilizzare prima oppure dopo l’inchiesta campionaria, come supporti a quella che rimaneva la forma per eccellenza di raccolta delle informazioni 16. La metodologia, cioè, veniva assimilata all’analisi quantitativa.

In secondo luogo, non furono mai scritti manuali semplicemente perché non si sentiva la necessità di codificare delle pratiche di ricerca 16. Mentre la statistica appariva come un argomento più esoterico e quindi sembrava richiedere un addestramento speciale, il lavoro sul campo sembrava essere qualcosa che si imparava solo facendolo. Fino a 10 15 anni fa nei dipartimenti di antropologia non si insegnavano i metodi di ricerca sul campo. Si pensava che bastasse mandare le persone sul campo e li avrebbero imparati provando e sbagliando 17.

In terzo luogo, i ricercatori qualitativi sembravano concepire il metodo semplicemente come un mezzo per raggiungere uno scopo, la conoscenza, e non come un fine in sé, un’area indipendente di ricerca su cui addirittura costruire una disciplina autonoma, cosa che avvenne con la progressiva emancipazione della metodologia dalla sociologia. 17 In questa prospettiva appare comprensibile, anche se non giustificabile, è bene ripeterlo, l’atteggiamento anti metodologico, recalcitrante alle regole, romantico, che ha caratterizzato una fase storica della ricerca qualitativa 17. Sfortunatamente tutto ciò ha comportato da parte di sociologi che continuavano ad usare il metodo dell’inchiesta campionaria, il rafforzarsi di un pregiudizio che con il tempo si era diffusamente consolidato: la ricerca qualitativa produceva risultati dalla validità incerta perché ottenuti attraverso metodi e tecniche la cui attendibilità non era documentata 17.

Alla fine, la ragione principale che spinse Glazer e Strauss a scrivere il loro libro fu prevalentemente di tipo politico: l’esigenza di fornire agli studenti e ai ricercatori un testo metodologico da citare ogni qualvolta a presentassero un progetto di ricerca organismo istituzionali, solitamente prevenuti nei confronti della ricerca qualitativa 18. Questo spiega perché, secondo Gobo, il libro appare oggi desueto e campanilistico.

Nascita e sviluppo della ricerca quantitativa in Italia

Nell’introduzione all’edizione italiana dell’altro libro di Silverman D. (trad. it. 2011) Manuale di ricerca sociale e qualitativa Gobo descrive la nascita della ricerca qualitativa in Italia.

In Italia la ricerca empirica si è sviluppata in ritardo per vari motivi. Il primo motivo è che Benedetto Croce negava che le scienze sociali potessero produrre conoscenza perché erano costituite da schemi elaborati dalla mente umana solo a fini pratici I. (…) Durante tutta la prima metà del 900 questa posizione filosofica e anti positivista fu dominante nel contesto italiano, indebolendo così le opportunità per la nascita di una sociologia empirica I. Un altro motivo di ritardo fu l’avversità per la ricerca empirica da parte del regime fascista II.

Dopo la Seconda guerra mondiale i ricercatori che usavano i sondaggi e le inchieste acquisirono un’autorità all’interno della sociologia e i loro metodi divennero lentamente egemoni all’interno della ricerca empirica, per cui i ricercatori qualitativi rimasero marginali una seconda volta. Adesso la ricerca qualitativa era accusata dai ricercatori quantitativi di essere romantica, idealista, troppo teorica e poco rigorosa II.

Nonostante questo contesto poco favorevole, si ebbero comunque una serie di ricerche qualitative portate avanti soprattutto nell’ambito dell’etnografia, vedi ad esempio i lavori di Danilo Dolci, Rocco Scotellaro, Ernesto De Martino, Vittorio Lanternari III. De Martino fu l’antropologo più famoso, e si occupò dei fenomeni religiosi e delle credenze magiche diffuse nel Meridione: il lamento funebre, la fattura e la iettatura, l’indemoniamento, l’esorcismo. Durante gli anni 50 egli compì diversi viaggi e ricerche etnografiche: dal 1952 in Lucania, nel 1959 nel Salento dove studiò i fenomeni di possessione di trance dei tarantati. De Martino si serviva di diverse tecniche: il materiale stenografico (cioè le note osservative) la registrazione fonografica e talvolta le videoregistrazioni III.

Nella seconda metà degli anni 50 al metodo etnografico (osservazione prolungata e diretta) si affiancarono altri metodi, quali l’intervista discorsiva e l’analisi di documenti, dando vita a un tipo di ricerca poi chiamata studi di comunità in cui si distinsero particolarmente gli studi di Banfield (1958) un americano che nel 1954 si trasferì in Basilicata, e Pizzorno (1960) sullo sviluppo industriale della provincia lombarda attraverso lo studio del paese di Rescaldina. Da segnalare inoltre la ricerca di Anna Anfossi (1959) sullo sviluppo in un’area particolare della Sicilia IV.

Alla fine degli anni 50 nasce in Italia anche il metodo biografico, il cui pioniere in assoluto fu il cremonese Danilo Montaldi. Militante di formazione marxista, egli si occupò dei proletari e sottoproletari della sua terra, la bassa padana. La novità metodologica stava nel fatto che Montaldi invitava i suoi intervistati a raccontarsi in prima persona, senza mai intervenire nel racconto, senza mediare le incongruenze, senza abolirne le ridondanze o rielaborare il loro linguaggio. Le sue due principali opere sono Autobiografie della leggera (1961) e Militanti politici di base (1970) che ho letto con piacere quando avevo 18 anni. Sullo stesso filone anche Nuto Revelli che ha raccolto le testimonianze degli alpini durante la ritirata dalla Russia nella Seconda guerra mondiale (La strada del davai), e dei contadini della provincia di Cuneo (Il mondo dei vinti).

Negli anni 60 in gli anni 70 vengono svolte in Italia numerose ricerche sulla classe operaia nelle grandi fabbriche del nord e dalle campagne V. Queste ricerche sono svolte soprattutto da studiosi di sinistra, per dare voce a operai e soggetti marginali. Gobo cita l’esperienza della rivista Quaderni Piacentini VI.

Questi studi non trovano però un’eco nei nuovi corsi di laurea in sociologia dove si insegnavano quasi esclusivamente metodologie quantitative VII.

E’ solo negli anni 80 che inizia la pubblicazione di numerosi testi metodologici di impostazione qualitativa scritti da autori stranieri. Gobo segnala inoltre una serie di ricerche con approccio qualitativo, quale ad esempio quella sui movimenti sociali metropolitani di Milano pubblicata nel 1984 da Alberto Melucci, quella sulla costruzione biografica dell’identità dei giovani pubblicata nel 1985 da Alessandro Cavalli, la ricerca femminista, la ricostruzione della storia orale di un quartiere operaio a Torino pubblicata nel 1984 da Luisa Passerini, la ricerca di Fortunata Piselli basata sull’osservazione partecipante delle reti parentali all’interno di una comunità calabrese, pubblicata nel 1984.

Fino alla prima metà negli anni 90 la ricerca qualitativa continuava ad apparire la sorella minore o minorata della ricerca quantitativa, intrinsecamente imperfetta se messa a confronto con la survey, per cui fino alla prima metà degli anni 90 condurre studi qualitativi in Italia voleva dire e collocarsi su un terreno considerato non pienamente scientifico; produrre risultati interessanti ma che avevano soltanto una portata locale; dialogare con una audience prevalentemente straniera o all’interno di cerchie limitate, a metà fra lo scientifico e il politico (il movimento operaio, il movimento delle donne, il movimento degli studenti, i movimenti ambientalisti, ecc.); lavorare su temi e concetti che non erano ancora stati recepiti dalla comunità scientifica nazionale e quindi ingegnarsi per “giustificare” agli occhi di quest’ultima la propria scelta di campo IX-X.

Nella seconda metà degli anni 90, lo scenario si modifica sostanzialmente. La ricerca qualitativa viene recuperata da importanti sociologi contemporanei, ampiamente tradotti in italiano, quali Giddens, Beck, Bauman e Sennet. In Italia, i metodologi più autorevoli si accorgono delle potenzialità dei metodi qualitativi. Fra il 1996 e il 1997 assistiamo a una crescente produzione autoctona di testi di metodologia qualitativa XI. E’ la pubblicazione di la ricerca qualitativa a cura di Luca Ricolfi (1997) assegnare un vero e proprio spartiacque da un punto di vista istituzionale XI.

Dall’anno 2000 si notano innumerevoli segnali di cambiamento nella metodologia italiana: il riconoscimento della ricerca qualitativa all’interno dei manuali di metodi e tecniche di ricerca; la produzione autoctona di contributi metodologici; (…) infine la nascita virgola in seguito alla riforma universitaria del 2001 di insegnamenti dedicati ai metodi qualitativi, che acquistano così una propria autonomia e indipendenza XII.

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Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. Riproduzione riservata. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.