Nel complesso scenario dell’orientamento al lavoro e dell’inserimento professionale, il ruolo degli operatori dei servizi per l’impiego (centri impiego e agenzie per il lavoro che erogano anche servizi di orientamento) è cruciale. Tuttavia, l’efficacia del loro intervento dipende non solo dalle competenze tecniche e amministrative, ma anche dall’approccio umano che adottano nel relazionarsi con gli utenti. Di fronte alle difficoltà che le persone incontrano nel cercare lavoro, la trappola in cui spesso gli operatori rischiano di cadere è quella di assumere atteggiamenti estremi: il ruolo del “salvatore” o, all’opposto, quello di un “amministrativo rassegnato”. Entrambi questi estremi compromettono l’efficacia del servizio e, alla lunga, danneggiano anche gli stessi operatori.
Il rischio di sentirsi “salvatori”
Assumere il ruolo del “salvatore” significa identificarsi profondamente con i problemi degli utenti, al punto da prendere sulle proprie spalle le loro difficoltà e le loro frustrazioni. È una trappola insidiosa, in cui è facile cadere per chi è animato da una forte vocazione di aiuto e si confronta con situazioni umanamente complesse, spesso di persone vulnerabili, in condizioni di disagio economico, sociale o psicologico. Questo atteggiamento, sebbene possa sembrare nobile, può diventare distruttivo sia per l’operatore sia per l’utente.
Quando l’operatore si assume eccessivamente la responsabilità di risolvere ogni problema dell’utente, corre il rischio di caricarsi di un peso emotivo eccessivo. Questo può portare rapidamente a fenomeni di burnout, esaurimento e demotivazione. Nel lungo termine, la sensazione di impotenza di fronte a situazioni che non possono essere risolte solo con le proprie forze rischia di minare la motivazione e l’efficacia dell’operatore. D’altra parte, un atteggiamento di eccessiva responsabilizzazione può anche generare una dipendenza dell’utente, che inizia a vedere nell’operatore l’unico mezzo per risolvere i suoi problemi, limitando la sua capacità di sviluppare autonomia e resilienza.
Il ruolo del “salvatore” compromette dunque l’empowerment dell’utente. Gli utenti, infatti, hanno bisogno di sviluppare autonomia e fiducia nelle proprie capacità per affrontare con successo la ricerca di lavoro, e ciò avviene solo quando l’operatore assume un ruolo di supporto attivo ma non sostitutivo. L’operatore deve diventare una guida, un facilitatore che aiuta l’utente a scoprire le proprie risorse e a trovare le soluzioni più adatte. Questo implica ascoltare, fornire strumenti e informazioni, ma lasciare all’utente la responsabilità di fare le proprie scelte e intraprendere il proprio percorso.
Il pericolo della “rassegnazione”
All’estremo opposto troviamo l’atteggiamento dell’“amministrativo rassegnato”, di chi non si sente in grado di fare la differenza e limita il proprio lavoro alla pura e semplice gestione burocratica. È l’atteggiamento di chi si concentra sulla gestione amministrativa delle pratiche, svolge con rigore il proprio compito ma evita di entrare in contatto con le emozioni e le difficoltà dell’utente. In questo caso, l’operatore si percepisce come un ingranaggio di un meccanismo totalmente burocratico, incapace di incidere realmente sulla vita delle persone e quindi “al sicuro” dalle complessità umane.
Questo approccio distaccato può avere varie cause, ad esempio la percezione che il sistema dei servizi per l’impiego sia inefficace o burocratico, la percezione di aver ricevuto una formazione inadeguata per svolgere attività di orientamento, la paura di non riuscire a gestire le situazioni emotivamente complesse, la percezione che le aspettative degli utenti siano difficili da soddisfare, la mancanza di tempo e di spazi adatti per una interazione significativa con l’utente. La mancanza di tempo è un problema sentito soprattutto dagli operatori che nell’attuale programma GOL si occupano della stesura del patto di servizio.
Tuttavia, la rassegnazione ha un impatto negativo sull’efficacia del servizio. Un approccio esclusivamente amministrativo crea distanza e scoraggia l’utente, che può sentirsi poco considerato e percepire l’operatore come “freddo” e distaccato. In un contesto come quello dei servizi per l’impiego, dove le persone arrivano con forti bisogni di orientamento e supporto, un atteggiamento distaccato compromette la capacità dell’operatore di instaurare un rapporto di fiducia e rendere il processo di ricerca di lavoro più motivante e gratificante.
L’equilibrio: un approccio intermedio tra empatia e rassegnazione
La sfida per gli operatori dei servizi per l’impiego è dunque quella di trovare un equilibrio tra il ruolo di guida empatica e quello di operatore amministrativo. Questo equilibrio può essere raggiunto adottando un approccio orientato all’empowerment dell’utente, ovvero un modello di relazione che favorisce la responsabilizzazione e il coinvolgimento attivo. L’operatore, in questa prospettiva, si pone come facilitatore e guida, ascoltando l’utente e aiutandolo a individuare le sue competenze, i suoi punti di forza e le sue risorse.
L’empatia è certamente necessaria, ma deve essere accompagnata dalla consapevolezza dei limiti del proprio ruolo e dalla capacità di mettere confini chiari. L’operatore può entrare in relazione in modo autentico, senza per questo assumere un ruolo di salvatore. Deve saper ascoltare l’utente, comprenderne le difficoltà, ma nello stesso tempo aiutarlo a comprendere che il percorso è nelle sue mani. La capacità di distaccarsi emotivamente senza perdere l’umanità è essenziale per fornire un supporto reale, che non si limiti alla gestione burocratica ma che non scivoli nemmeno nell’identificazione totale con i problemi dell’utente.
Un approccio efficace richiede anche che i responsabili dei servizi assicurino tempi adeguati per i colloqui e una formazione efficace degli operatori.
Gli strumenti pratici per una gestione efficace
Per evitare le trappole dell’eccessivo coinvolgimento e della rassegnazione, è utile che gli operatori dispongano di strumenti di gestione delle emozioni e di tecniche di counseling che permettano di interagire con l’utente in modo costruttivo. Formazione continua e supervisione sono due elementi essenziali per lo sviluppo di un atteggiamento professionale bilanciato. La formazione aiuta gli operatori ad acquisire competenze specifiche in ambito di comunicazione e orientamento, mentre la supervisione permette di riflettere su come gestire le situazioni emotivamente complesse e trovare supporto nelle sfide quotidiane.
Inoltre, è utile utilizzare nei colloqui anche tecniche di coaching, che permettono all’utente di definire obiettivi concreti e di lavorare in modo attivo per raggiungerli.
Attraverso tecniche di counseling e un approccio di coaching, l’operatore può aiutare l’utente a identificare le proprie risorse, a valorizzare i successi e a sviluppare una maggiore fiducia nelle proprie capacità, senza cedere alla tentazione di risolvere direttamente i problemi.
Conclusione
Gli operatori dei servizi per l’impiego si trovano in una posizione delicata, chiamati a bilanciare l’empatia con la capacità di mantenere i confini. Solo evitando gli estremi del “salvatore” e dell’“amministrativo rassegnato”, gli operatori possono fornire un servizio efficace. Riconoscere e gestire queste dinamiche non è semplice, ma è essenziale per rendere l’orientamento professionale un’esperienza di crescita sia per l’utente sia per l’operatore.
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. Riproduzione riservata. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.