Dazi immotivati?
In Europa — e anche in Italia — si tende spesso a liquidare la politica dei dazi promossa da Donald Trump come un’azione impulsiva, protezionista e controproducente. Lo stesso presidente Mattarella ha definito “immotivati” i nuovi dazi statunitensi, come il recente 25% annunciato sulle auto importate. Ma davvero sono privi di logica? Secondo alcuni influenti consiglieri economici vicini all’amministrazione americana, non è affatto così. Vedi l’articolo Perché per Trump i dazi non sono per nulla “immotivati” da cui sono riprese queste informazioni.
2025 National Trade Estimate Report on Foreign Trade Barriers
Il 31 marzo 2025, l’Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti (USTR) ha pubblicato il “2025 National Trade Estimate Report on Foreign Trade Barriers”, evidenziando le barriere che ostacolerebbero le esportazioni americane verso l’Unione Europea (UE). Il rapporto distingue tra barriere tariffarie e non tariffarie, con un’enfasi particolare su queste ultime.Università Cattolica del Sacro Cuore
Barriere tariffarie
Le barriere tariffarie menzionate nel rapporto sono relativamente modeste. Tra queste:Università Cattolica del Sacro Cuore
Dazi medi del 10,8% sui prodotti agricoli.Università Cattolica del Sacro Cuore
Dazi del 26% su pesce e prodotti di mare, 22% sui camion, 14% sulle biciclette, 10% sui veicoli passeggeri e 6,5% su fertilizzanti e plastica.Università Cattolica del Sacro Cuore
Barriere non tariffarie
Il rapporto identifica 58 barriere non tariffarie, suddivise in due categorie:
Misure discriminatorie
Nove misure sono considerate effettivamente discriminatorie nei confronti delle imprese extra-UE, tra cui:Università Cattolica del Sacro Cuore
La European Defense Industrial Strategy (EDIS), che prevede di destinare il 50% della spesa militare a fornitori UE entro il 2030, aumentando al 60% entro il 2035.
Sussidi europei ad Airbus, già oggetto di una disputa risolta nel 2021.Università Cattolica del Sacro Cuore
Regolamentazioni che impongono quote minime di programmazione televisiva e cinematografica a produzioni locali.Università Cattolica del Sacro Cuore
Favoritismi nelle gare d’appalto pubbliche in alcuni Paesi dell’Est Europa.Università Cattolica del Sacro Cuore
Restrizioni all’acquisizione di imprese in settori strategici da parte di entità extra-UE.Università Cattolica del Sacro Cuore
Requisiti di cittadinanza per l’iscrizione ad alcuni albi professionali.Università Cattolica del Sacro Cuore
Mancanza di trasparenza sui sussidi agricoli nell’ambito della Politica Agricola Comune.Università Cattolica del Sacro Cuore
Frammentazione dell’amministrazione doganale tra gli Stati membri.Università Cattolica del Sacro Cuore+1Università Cattolica del Sacro Cuore+1
Un caso specifico relativo a un pagamento retroattivo richiesto dall’Italia per esportazioni di banane prima del 2006.Università Cattolica del Sacro Cuore
Regolamentazioni generali
Le restanti barriere riguardano regolamentazioni che si applicano a tutte le imprese, europee e non, ma che gli Stati Uniti percepiscono come ostacoli, tra cui:Università Cattolica del Sacro Cuore
Normative sull’e-commerce e la protezione dei dati (es. GDPR, Digital Services Act).Università Cattolica del Sacro Cuore
Standard di sicurezza e salute, come restrizioni sull’uso di OGM e ormoni nella produzione alimentare.Università Cattolica del Sacro Cuore
Misure ambientali che limitano l’uso di determinate sostanze chimiche.
Regole sulla protezione della proprietà intellettuale, comprese le denominazioni di origine protetta.Università Cattolica del Sacro Cuore
Inefficienze burocratiche che rallentano l’ottenimento di permessi e autorizzazioni.
Conclusioni
Molte delle barriere identificate sono state introdotte recentemente e non sono la causa principale del deficit commerciale degli Stati Uniti con l’UE, che persiste da decenni. Tuttavia, affrontare queste questioni potrebbe portare benefici sia alle imprese americane che a quelle europee, migliorando l’efficienza e la trasparenza delle pratiche commerciali.Università Cattolica del Sacro Cuore
Non solo commercio: l’obiettivo è riequilibrare il sistema globale
Stephen Miran, stratega di Hudson Bay Capital e consigliere vicino a Trump, vede nei dazi un pezzo di una strategia più ampia: ridurre lo squilibrio globale creato dalla posizione dominante del dollaro e dal ruolo degli Stati Uniti come emittenti di “asset di riserva” per il resto del mondo.
In parole semplici, Miran suggerisce che i partner commerciali degli Stati Uniti dovrebbero contribuire a “pagare il prezzo” della stabilità del dollaro, convertendo i loro titoli del Tesoro USA in obbligazioni perpetue o quasi perpetue a bassissimo rendimento. Per spingere gli alleati a una simile concessione, propone di usare come leva la sicurezza militare fornita dagli USA — un’arma di negoziazione geopolitica a tutti gli effetti.
Miran è convinto che i dazi non abbiano impatti negativi rilevanti sull’economia americana, soprattutto se accompagnati da aggiustamenti sul fronte valutario. Piuttosto, servono a spostare una parte del carico fiscale e finanziario degli Stati Uniti sugli altri paesi, recuperando benefici che gli altri traggono dallo status del dollaro come valuta di riserva.
Il declino dell’“eccezionalismo americano” è già cominciato?
A completare il quadro interviene Ruchir Sharma, editorialista del Financial Times e autore del libro What Went Wrong with Capitalism. Secondo Sharma, il ridimensionamento del predominio economico americano è già iniziato, a prescindere da Trump.
Negli ultimi anni l’economia americana è stata sostenuta da una spesa pubblica record e da un boom negli investimenti in intelligenza artificiale. Ma tutto ciò ha alimentato una “bolla americana”, che ora inizia a sgonfiarsi: lo S&P 500 è ancora gonfiato rispetto alla sua media storica, ma si registrano segnali di inversione. Gli investitori globali stanno tornando a guardare con interesse a Europa e Giappone, e persino i mercati emergenti non seguono più in automatico le fluttuazioni di Wall Street.
Insomma, conclude Sharma, le forze che stanno ridisegnando l’economia globale sono più grandi di qualsiasi presidente, Trump compreso.
Conclusione
Per l’amministrazione Trump, i dazi non sono un gesto di chiusura, ma un tentativo di correggere distorsioni sistemiche che svantaggiano l’industria americana. E soprattutto, si inseriscono in un contesto in cui la supremazia economica statunitense non è più scontata.
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993.Riproduzione riservata. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.