Il Corriere della Sera di oggi riporta un’intervista intitolata Francesca, precaria da una vita a Milano: «Guadagno 5 euro lordi l’ora. Da 25 anni non metto da parte nulla»
Il percorso professionale di Francesca
Nell’articolo, Francesca ci racconta che è arrivata a Milano nel 1996, e inizia a lavorare a cottimo per una coop a 800 mila lire al mese, inquadrata come socia dipendente, occupandosi di smistare posta e registrare bollettini.
Dopo un anno si dimette e, dopo un periodo come baby-sitter, inizia a lavorare per un’azienda tramite una coop di servizi, con uno stipendio fisso di 900 mila lire al mese per 8 ore di lavoro.
A questo punto cambia di nuovo e comincia a svolgere interviste per società di indagini statistiche, pagata a ore, ottenendo mediamente sempre 900 mila lire al mese.
Verso il 2000 trova un lavoro a tempo indeterminato a oltre 1000 € al mese (più tredicesima e quattordicesima) per una azienda tedesca che con la crisi del 2008 chiude e delocalizza all’estero.
Francesca viene posta in mobilità (cioè disoccupazione retribuita) per un periodo di 2 anni. Terminata la mobilità ricomincia a lavorare di nuovo da precaria per alcune società di indagini statistiche arrivando a guadagnare circa 1000 € al mese, ma ogni volta con una pausa estiva di 3 mesi.
Dal 2018 trova lavoro come dipendente di una cooperativa di servizi, a 5,40 € orari lordi e ‘orario minimo contrattuale non rispettato’.
Francesca si lamenta che 25 anni dopo il suo arrivo a Milano guadagna solo 800 € al mese.
I punti diversi punti di vista del sindacalista e dell’orientatore
Come possiamo commentare questa vicenda?
Possiamo adottare lo sguardo del sindacalista: Il calvario di Francesca, l’ingiustizia di guadagnare solo 800 euro al mese, la beffa della delocalizzazione, lo sfruttamento delle cooperative di servizi e delle società di ricerche statistiche.
Gli errori di Francesca
Ma quale sarà il punto di vista di un operatore di orientamento? Ricordiamoci che il nostro lavoro è aiutare le persone nel loro inserimento lavorativo. Con questa ottica, come possiamo valutare il percorso professionale di Francesca?
È un percorso sbagliato.
Francesca, stando a quel che ci racconta, in 25 anni di vita non si è mai preoccupata di imparare qualcosa che avrebbe potuto migliorare la sua occupabilità, né risulta che abbia seguito una scuola media superiore.
E non solo, si è dimessa senza una prospettiva da un impiego a tempo indeterminato (è andata a fare la baby sitter) per scegliere un lavoro precario (intervistatrice), e al lavoro da intervistatrice è tornata alla scadenza della mobilità. Il percorso professionale di Francesca ci appare sotto la media rispetto a quella di altre persone donne giovani e dequalificate che sono entrate nel mercato del lavoro a Milano a metà anni ’90.
L’orientamento con Francesca
E in una ipotetica consulenza, come imposteremo il lavoro con Francesca?
Ovviamente prima l’ascolto, ma poi cercheremo di capire
- quali delle sue caratteristiche potrebbero interessare ad altre imprese, e se sì
- se sa come condurre una ricerca di lavoro efficace,
- se abbia tempo e voglia per seguire un percorso formativo serale o a distanza (visto che, ci dice, non ha risorse economiche accumulate).
L’aiuto dell’orientamento
La sguardo del sindacalista sarà di scarso aiuto. Se come ci dice, l’orario contrattuale minimo non è rispettato, la indirizzeremo a un sindacato. Ma ci fermeremo qui.
Utilizzare la nostra ora di colloquio con Francesca per dirci a vicenda che il mondo è cattivo, il capitalismo sfrutta gli operai, le multinazionali affamano le persone e via discorrendo, non aiuterà Francesca a trovare un lavoro migliore.
I tempi della politica purtroppo sono in genere assai più lenti delle vicende individuali, e come operatori il nostro potere di indirizzo sulla politica è inesistente.
Come operatori possiamo influenzare solo il livello micro, solo i comportamenti individuali delle persone con cui svolgiamo attività di consulenza, e su quelli, se vogliamo ottenere risultati, dobbiamo lavorare.
Poi, come cittadino posso anche sostenere:
- che tutti i lavori a termine o a provvigione vadano vietati per legge, che le imprese debbano tenersi i dipendenti anche quando non sono produttivi, che le scelte di gestione delle imprese vadano decise dal ‘popolo’ o dalla politica (e qui siamo già al modello Unione Sovietica),
- che fare profitti sia un peccato (qui invece al modello Cristiani per il socialismo), oppure ancora
- che lo stato debba assicurare regole del gioco che da una parte permettano alle imprese di fare profitti e crescere nel modo più efficiente possibile, e ai cittadini di non finire in povertà e di riqualificarsi velocemente se perdono il lavoro (questo è un possibile modello liberal democratico)
ma queste saranno opinioni esterne, che ogni operatore porterà avanti nel proprio tempo libero.
Quando facevo corsi sulle tecniche di ricerca di lavoro per senza lavoro e licenziati il primo giorno partiva spesso la discussione sul capitalismo cattivo. Dopo un po’ intervenivo dicendo: D’accordo, questa è la situazione. Ma noi, qui, adesso, cosa vogliamo fare? O fondiamo un partito oppure cerchiamo di capire come cavarcela nella situazione attuale. E il corso (e la ricerca di lavoro) potevano iniziare solo quando i partecipanti avevano fatto questo cambiamento di prospettiva. Francesca mi sembra ancora non l’abbia fatto.
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Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. Leggi Informativa privacy, cookie policy e copyright.