Questo articolo ti spiega perché le politiche attive sono importanti per l’orientatore. E poi in che modo l’orientatore utilizza le politiche attive. Prima di parlare di questi temi, devo però specificare cosa sono le politiche attive e come possono essere classificate le politiche attive per il lavoro.
Cosa sono le politiche attive
In questo periodo tutta la stampa evidenzia la necessità di potenziare le politiche attive del lavoro, senza però entrare nel merito.
Affermare che le politiche attive vadano potenziate è altrettanto generico che dire che per guarire è necessario curarsi. In realtà gli esiti della cura dipendono dagli specifici farmici utilizzati e dalle loro modalità di somministrazione. Se mal congegnata la cura può addirittura rivelarsi inefficace o iatrogena.
Lo stesso può accadere alle politiche attive del lavoro: se mal congegnate possono aumentare la disoccupazione incentivando la non ricerca di lavoro e il rifiuto dei lavori offerti.
Vale la pena perciò di spiegare in dettaglio cosa sono le politiche attive, a cosa servono, e in che modo gli orientatori utilizzano le politiche attive diverse dall’orientamento.
Un definizione di politiche attive
In senso ampio, per politiche attive si intendono tutte quelle misure introdotte da soggetti pubblici volte a promuovere l’occupazione. Rientrano ad esempio fra le politiche attive le attività di:
- formazione,
- orientamento,
- gli incentivi all’assunzione,
- siti e software che facilitano l’incontro fra domanda e offerta.
La differenza fra politiche attive e politiche passive per il lavoro
Le politiche passive per il lavoro forniscono sostegno al reddito (cioè somme in denaro), a persone disoccupate. Il fine delle politiche passive è alleviare gli effetti negativi della disoccupazione, innanzitutto la mancanza di un reddito.
Possiamo spiegare la distinzione fra politiche per il lavoro attive e passive richiamando quel proverbio cinese:
Dai un pesce a un uomo e mangerà un giorno. Insegnategli a pescare e mangerà tutta la vita”
Le politiche passive risolvono cioè il problema immediato della mancanza di un reddito grazie a un aiuto esterno, che non risolve la situazione di bisogno. Le politiche attive invece mettono (o dovrebbero mettere) la persona in grado di trovarsi un lavoro e così risolvere stabilmente il problema del reddito.
La genesi delle politiche attive
Il sito del Ministero del lavoro ci spiega che:
La base teorica delle politiche attive è il Welfare to work. Esso nasce per colmare le lacune del Welfare State, il sistema progettato dallo Stato inglese ai tempi della prima Rivoluzione industriale per assistere masse di diseredati che abbandonavano le campagne per fornire manodopera alle fabbriche.
Con il passare del tempo ed il susseguirsi di periodiche crisi economiche – le cui conseguenze dirette sono disoccupazione ed emarginazione sociale – sono stati approntati diversi modelli, passando da un approccio universalistico ad uno tagliato su misura del singolo individuo.
E inoltre:
Le politiche attive si articolano lungo le quattro direttrici indicate prima nell’Agenda di Lisbona e poi nella Strategia Europea per l’Occupazione (SEO) :
- Occupabilità: migliorare le capacità di un individuo di inserirsi nel mercato del lavoro
- Adattabilità: aggiornare le conoscenze individuali per renderle compatibili con le esigenze del mercato
- Imprenditorialità: sviluppare qualità e spirito imprenditoriali per avviare un’azienda e contribuire all’autoimpiego
- Pari opportunità: favorire politiche di uguaglianza per aumentare i tassi di occupazione femminile.
Gli strumenti per realizzare questi obiettivi sono: la formazione, la riqualificazione, gli strumenti di orientamento, l’alternanza scuola lavoro, i tirocini e le work experiences.
Il ruolo di ANPAL
ANPAL è l’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro. ANPAL è stata creata col Decreto legislativo n. 150/2015. Il ruolo di ANPAL è coordinare e indirizzare i servizi e le misure di politica attiva, in stretta collaborazione con le Regioni.
Come classificare le politiche attive
E’ possibile classificare fa le diverse misure tenendo a mente tre parametri: destinatari / approccio / beneficio
I destinatari delle politiche attive
Le misure di politica attiva possono essere indirizzate a disoccupati o imprese.
Un altro campo di intervento è quello delle infrastrutture per l’incontro domanda e offerta.
Politiche attive rivolte a disoccupati
Un esempio del primo caso è corso di formazione gratuito rivolto a disoccupati organizzato da agenzie formative sulla base di un bando pubblico, senza contatti con imprese.
Politiche attive rivolte alle imprese
Un esempio del secondo caso è uno sgravio fiscale rivolto alle imprese che assumono disoccupati che hanno seguito un corso di formazione.
Politiche attive rivolte alle infrastrutture
Un esempio del terzo caso può essere un portale che linca tutti i corsi gratuiti rivolti a disoccupati organizzati in una determinata regione. Qui ad esempio vediamo il catalogo dei corsi finanziati Regione Lombardia.
Beneficio monetario o non monetario
Le politiche attive possono portare ai soggetti bersaglio un beneficio di tipo monetario o non monetario.
Benefici monetari
Un esempio di beneficio monetario è classicamente uno sgravio contributivo all’assunzione rivolto alle imprese, o un’indennità rivolta ai disoccupati condizionata alla partecipazione a un corso di formazione.
Benefici non monetari
Benefici di tipo non monetario possono essere un miglioramento della propria preparazione (grazie alla partecipazione a un corso di formazione) o della propria capacità di cercare lavoro (grazie alla partecipazione ad attività di orientamento)
Approccio punitivo o premiale
L’approccio delle misure di politica attiva può essere punitivo o premiale.
Approccio punitivo
Un esempio di una misura punitiva è la cessazione dell’erogazione del reddito di cittadinanza a chi non accetta un’offerta di lavoro, oppure, lato imprese, l’obbligo di assumere una certa percentuale di persone con disabilità certificata.
Approccio premiale
Un esempio di misura premiale può invece essere una temporanea riduzione della tassazione dei redditi di lavoro per il disoccupato che trova lavoro (in questo modo fra l’altro lavorare al nero diventerebbe meno conveniente) o un premio in denaro (nella forma di una riduzione degli sgravi contributivi) per le imprese che assumono persone con disabilità certificata.
All’interno dell’approccio premiale possiamo considerare anche quelle misure che riducono il peso degli adempimenti per le imprese, ad esempio per le assunzioni: una misura di questo tipo è stata l’introduzione delle assunzioni tramite voucher.
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L’efficacia delle diverse misure di politica attiva
Una considerazione riguardo al tipo di beneficio e al tipo di approccio è che le diverse misure devono essere in strutturate in modo che siano effettivamente operative.
Un provvedimento per togliere un beneficio economico (ad esempio il reddito di cittadinanza) strutturato in modo che di fatto sia impossibile proporre offerte di lavoro al disoccupato, o la cui applicazione concreta è posticipata sine die è, in concreto, un provvedimento che non esiste. Lo stesso può valere anche per la concessione di benefici.
Le misure di politica attiva maggiormente efficaci
Quali sono le misure di politica attiva più efficaci? E’ difficile dirlo, perché dipende ad esempio dal tipo di categoria di disoccupati di cui vogliamo favorire l’assunzione, dal tipo di contratto di lavoro che vogliamo incrementare, o dal malfunzionamento del mercato del lavoro che vogliamo ridurre.
In generale possiamo dire che le misure migliori sono quelle basate su un approccio premiale lato imprese.
E’ meglio l’approccio premiale perché tutti cercano di evitare o bluffare quando sono soggetti a obblighi che non portano un beneficio diretto. E’ inoltre necessario creare un ecosistema dove tutti gli attori (disoccupati, imprese, servizi pubblici e privati per il lavoro) siano spinti ad adottare comportamenti che, generando un beneficio diretto per ciascuno di essi, portino al risultato complessivo desiderato dal decisore politico (ad esempio aumento e/o durata dell’occupazione).
Le principali politiche attive con riferimento ai disoccupati
Le principali misure di politica attiva, con riferimento ai disoccupati, sono le seguenti:
- l’orientamento
- la formazione professionale
- i tirocini
Dal punto di vista della persona disoccupata, le politiche attive hanno lo scopo di migliorare l’occupabilità. Questo aiuto consiste sia nell’organizzazione di corsi e tirocini che nella informazione e consulenza per scegliere per quali professioni migliorare la propria occupabilità, cioè nell’orientamento.
Il ruolo dell’orientatore nelle politiche attive
L’orientatore ha un ruolo fondamentale nelle politiche attive, perché aiuta le persone a:
- identificare una professione che vorrebbero svolgere
- valutare la propria occupabilità con riferimento a una determinata professione
- scegliere se vale la pena di migliorare la propria occupabilità per una determinata professione oppure vale la pena di cambiare professione obiettivo
- identificare le migliori modalità formative per migliorare la propria occupabilità per la professione desiderata.
Operatori politiche attive come medici senza farmaci
I medici di per sé non curano, sono i farmaci che curano. I medici visitano il paziente e fanno una diagnosi. Poi prescrivono dei farmaci. Se i farmaci non fossero disponibili, l’efficacia del loro lavoro sarebbe quasi nulla (nota 1).
Per gli addetti alle politiche attive vale un discorso simile.
Gli addetti alle politiche attive fanno un’analisi dell’occupabilità del disoccupato e delle sue aspirazioni, e su questa base, quando l’occupabilità è troppo bassa per aspirare a un lavoro (come, ad esempio, per la maggioranza dei beneficiari del reddito di cittadinanza), suggeriscono la necessità di aumentarla seguendo dei corsi di formazione, svolgendo dei tirocini o attraverso percorsi di apprendimento in autonomia.
In sintesi, per l’operatore delle politiche attive formazione e tirocini corrispondono ai farmaci del medico.
La formazione è scollegata dall’orientamento
Il problema che abbiamo in Italia è che la formazione è scollegata dall’orientamento.
Molto spesso operatore e disoccupato individuano la necessità di svolgere una formazione in un determinato campo, ma corsi gratuiti non sono immediatamente disponibili (nota 2), né è possibile attivare immediatamente tirocini.
Così l’operatore si limita a consigliare il disoccupato di cercarsi direttamente corsi gratuiti (o a pagamento) o tirocini.
È scontato che in queste condizioni l’efficacia del lavoro dell’operatore, per quei disoccupati che hanno necessità di migliorare la propria impiegabilità, sia quasi nulla.
Per migliorare l’efficacia complessiva del sistema delle politiche attive, è necessario che gli operatori delle politiche attive possano far attivare immediatamente i corsi (o i percorsi formativi, ad esempio con un tutor in azienda) di cui i loro utenti hanno necessità.
Sui temi o per le figure maggiormente richieste dal mercato dovrebbero essere disponibili corsi con avvio quindicinale o mensile. Per temi e figure meno richieste, per cui è difficile mettere assieme un gruppo classe, dovrebbe essere possibile attivare percorsi di apprendimento individuale, svolti in buona parte in azienda.
Le aziende disponibili ad accogliere persone che stanno seguendo percorsi di apprendimento o che addirittura li organizzino direttamente dovrebbero ricevere un contributo.
Una soluzione da esplorare per rendere più efficace la formazione professionale è incardinarla dalle agenzie formative (soggetti con rapporti limitati o nulli con la realtà produttiva) alle imprese.
Dovrebbero cioè essere le imprese (o almeno alcune di esse) a accreditarsi come agenzie formative e occuparsi della formazione.
Nota 1: In questo esempio semplifico tralasciando le cure basate sui cambiamenti dello stile di vita e ammettendo che per ogni malattia siano disponibili farmaci efficaci.
Nota 2: Quando ancora lavoravo nei centri per l’impiego, mi accadeva di indirizzare alcuni dei miei utenti verso corsi di formazione gratuiti che occasionalmente erano disponibili, e poi, poiché i posti erano limitati, venivano scartati alla prova di selezione.
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. Leggi Informativa privacy, cookie policy e copyright.