Questo articolo è basato su Kim Berg I., Miller S.D. (1992, trad.it.2001). Quando bere diventa un problema. L’alternativa alle lunghe e costose terapie tradizionali. Gli autori si collocano all’interno del filone della terpia breve, ma hanno un approccio diverso da quello di Giorgio Nardone. In particolare mentre Nardone innanzitutto va in cerca e arresta le tentate soluzioni disfuzionali (vedi a riguardo il nostro articolo Una introduzione alla Terapia Breve Strategica di Giorgio Nardone) gli autori vanno in cerca e cercano di promuovere le tentate soluzioni funzionali. E’ un libro molto interessante e utile (anche se a tratti scritto in maniera poco sistematica) per tre motivi: perché spiega come operare:
- con pazienti che hanno un consumo problematico di bevande alcoliche
- con pazienti inizialmente non collaborativi
- con familiari di pazienti che si rifiutano di incontrare il terapeuta.
Questo approccio può essere utilizzato anche per sostenere persone in cerca di lavoro, vedi il bel libro Jackson P.Z., McKergow (trad. it 2010) Punta alla soluzione.
Gli Autori appartengono alla cosiddetta Scuola di Paolo Alto, una scuola di psicoterapia statunitense che ha sviluppato approcci basati su trattamenti brevi finalizzati alla diretta soluzione del problema presentato dal cliente, grazie anche a un ruolo attivo del terapeuta. Ci sono punti di contatto significativi anche con Miller & Rollnick e Prochaska. L’approccio proposto dagli Autori, chiamato Approccio Centrato sulla Soluzione ACS (in inglese ‘solution focused approach’) (p.27, tutte le indicazioni relative alle pagine si riferiscono, a meno che non sia specificato diversamente, al libro in questione) ottiene un impatto significativo in mediamente sole sei sedute (25). Inizialmente gli Autori erano focalizzati sulla prescrizione di compiti (azioni creative, come in Giorgio Nardone) poi hanno cambiato approccio (134).
Gli Autori criticano l’approccio degli Alcolisti Anonimi basato sul ‘modello della malattia dell’alcolismo’. In questo modello l’’alcolismo’ deriverebbe da ‘un unitario processo morboso primario, progressivo, irreversibile e fatale che interessa in modo simile tutti gli alcolisti’ 21. In questo modello chi beve è in genere considerato resistente al trattamento e incline alla negazione (21). Il trattamento viene considerato ‘un processo a lungo termine che, nel migliore dei casi, inizia con qualche forma di ricovero o trattamento residenziale intensivo e prosegue con anni di ‘follow up’ e con un impegno vita natural durante alla ‘guarigione’ in un gruppo di auto aiuto’ (21, 22). Al contrario numerosi studi indicano come una percentuale dal10 al 42% di bevitori modifica la loro attitudine al bere problematico senza ricorrere a un trattamento formale (42). Nell’approccio degli Alcolisti anonimi gli unici risultati validi come indice di efficacia del trattamento sono l’astinenza e/o la sobrietà (21). L’alcolismo viene considerata una malattia congenita (24), pertanto le persone con problemi di alcol sono considerati incapaci di giudizio (45). Una delle tecniche maggiormente utilizzate in questo modello è quella del confronto, in cui la persona con problemi di alcol viene affrontata in maniera aggressiva dall’operatore che evidenzia le sue mancanze e prescrive l’astinenza dall’alcol (45). In questo modello la causa del fallimento del trattamento è solo del cliente, che è ‘resistente’ 52. Il modello terapeutico risulta così validato sia quando ha successo che quando fallisce 52.
Gli autori criticano anche altri approcci che vedono nell’alcolismo ‘la punta dell’iceberg, manifestazioni in superficie di problemi sottostanti più profondi e patologici che richiedono necessariamente un trattamento altrettanto profondo e prolungato.’ (39), e ugualmente non si preoccupano di scavare nel passato alla ricerca delle cause (43).
1. Principi della terapia secondo l’Approccio Centrato sulla Soluzione
1. individuare, promuovere e replicare le eccezioni positive generate dal cliente, e lasciar perdere le cause. La strategia del terapeuta non è fermare chi beve, ma identificare e ampliare le soluzioni positive già prodotte dal cliente (41, 135). ‘In qualsiasi situazione problematica ci sono momenti durante i quali il problema non si verifica, o non viene considerato tale dai clienti, e questo è vero anche nei casi più difficili. Poiché però è tipico che i pazienti concepiscano i problemi portati in terapia come costanti, le eccezioni non vengono notate. (…) Il terapeuta centrato sulla soluzione va alla ricerca delle occasioni in cui il problema non è un problema; scoprendo cosa hanno di speciale tali occasioni cerca di aumentare la loro frequenza.’ (41-42). Le sedute vanno centrate sul successo dei clienti nell’affrontare i propri problemi (32). Perciò non si indaga su cosa accade quando fallisce ma solo su cosa accade quando ha successo. Le sedute sono dedicate alle risposte del cliente al problema. E’ il cliente che ha la risposta al proprio problema. Si sottolineano i suoi punti di forza, le sue risorse e abilità. Si individuano i motivi alla base del fatto in cui il paziente riesce a non bere e si cerca di aumentare la frequenza dello schema positivo (32). Si invita il paziente a fare intensamente ciò che ha già funzionato in passato (41). Il terapeuta va alla ricerca dei casi in cui il problema non si è verificato cercando di aumentare la loro frequenza (41). Ci si concentra sul presente e sul futuro (43). L’Approccio Centrato sulla Soluzione sfrutta l’’effetto onda’ (o ‘effetto domino’), vale a dire il fatto che cambiamenti minimi possono avviare processi di cambiamenti significativi e duraturi (40). Inoltre ‘se (in terapia) scopri una cosa che funziona, usala di più. Se non funziona, fa qualcosa di diverso’ (47). Sugli assunti teorici vedi anche 36-38, 41.
2. Cooperazione col cliente e utilizzazione: il terapeuta coopera col cliente consentendogli di stabilire i propri obiettivi e di lavorare al loro raggiungimento (49): ‘Se per il cliente qualcosa non è rotto (cioè un determinato comportamento va bene), non aggiustarlo’ (non provare a cambiarlo, ma cerca invece un obiettivo per cui il paziente sia disponibile a impegnarsi) (47). Vedi quanto detto più in basso riguardo ai pazienti ‘visitatori’. Inoltre è necessario esplorare le credenze e le risorse del paziente per vedere quali sono disponibili per risolvere il problema (34). Accettare cioè la sua cornice di riferimento (36). Come esempio viene citata una paziente buddista a cui vengono proposti come spunti per la meditazione giornaliera una serie di principi pensati per limitare il suo consumo di alcolici (34). Ogni paziente è unico e per ognuno va trovata una terapia ad hoc (37).
3. Orientamento al futuro. Quando sono state già esaminate le eccezioni positive si può lavorare sul futuro. Ad esempio attraverso ‘Miracle question’: immagina che una notte, mentre dormi, avvenga un miracolo e che il problema che porti in terapia sia risolto. Quali sarebbero le differenze che ti farebbero capire che è avvenuto un miracolo? (43) E cos’altro? Questa domanda fa passare dallo scoraggiamento dovuto ai problemi del passato alla speranza nel futuro, permettendo anche di individuare degli obiettivi minimi (44).
2. Come impostare la relazione col paziente
Innanzitutto è necessario capire qual è l’atteggiamento del paziente verso di noi (terapeuti) (50). Senza capire qual è l’atteggiamento si rischia di adottare strategie inadeguate. Si è sbagliata strategia quando si ha l’impressione che tutto il lavoro la facciamo noi (invece del cliente), quando etichettiamo il paziente come ‘resistente’ (61), quando desideriamo che il cliente salti la seduta (100).
Sono possibili tre atteggiamenti da parte del cliente, a cui è necessario che il terapeuta adatti la propria strategia (61):
1. Acquirente (53) il problema e l’obiettivo della terapia vengono identificati di comune accordo. Il cliente ha fretta di passare all’azione. E’ il caso più raro. Strategie con gli acquirenti: l’astinenza va bene solo se la sceglie il cliente (98). Aiutare a formulare obiettivi ben strutturati (vedi più in basso). Porre domande dettagliate sulle occasioni in cui il paziente non ha bevuto: chi ha fatto cosa, quando, come e con quali risultati (99).
2. Lamentoso. Cliente e terapeuta identificano di comune accordo problema e obiettivo, ma non riescono a identificare i passi concreti verso la soluzione, anche perché i clienti pensano che la soluzione dipenda da qualcun altro. Ad esempio quando il cliente è un familiare della persona che beve oppure il cliente descrive bene il problema, ma non è deciso a fare la prima mossa o non sa qual è la prima mossa (57).
Strategie con i lamentosi. Se la persona che si rivolge al terapeuta è un familiare é necessario far cambiare la loro percezione da vittime a persone che possiedono le possibili modalità di soluzione (141). L’ACS considera i familiari come esperti nel capire quale trattamento può essere adeguato per il paziente (96). E’ utile coinvolgerli e vederli come alleati (95), é necessario riconoscere e lodare il loro impegno e sacrifici (96). Nel colloquio è utile evitare di concentrarsi sul problema, ed esplorare invece i casi in cui il problema non si è presentato e quali loro comportamenti sono stati o potrebbero essere efficaci e quali invece sono stati inefficaci e perciò vanno lasciati perdere. Il familiare va aiutato a vedere la situazione anche dal punto di vista del paziente e bloccare le soluzioni che finora non si sono dimostrate adeguate (103). Bloccare le soluzioni che non funzionano 104 apre nuove possibilità di cambiamento del coniuge alcolista (si spezza la dinamica). Le domande che seguono hanno lo scopo di indicare al familiare che le soluzioni dipendono solo da lui e spingerlo a fare qualcosa di diverso da quello che ha fatto finora (104):
- In che modo il fatto che sua moglie beve è un problema per lei? (cioè che problemi le dà / cosa non le piace del bere di sua moglie?)
- Sua moglie considera il bere un problema? / che tentativi ha messo in atto per ridurlo? (cioè cosa fa sua moglie per ridurre il problema? Vado in cerca delle soluzioni che hanno funzionato per il paziente)
- Che tentativi finora ha messo in atto per ridurre il problema di sua moglie? / con quali risultati? / cosa pensa sua moglie dei suoi sforzi? / che cosa sua moglie le direbbe di fare per essere (lei) più efficace? (cioè vado in cerca delle soluzioni che hanno funzionato messe in atto dal familiare)
Se niente funziona, allora complimentarsi col familiare per la sua pazienza e sofferenza. Invitare la persona a prendere le distanze dal paziente perché solo lui può decidere di smettere di bere, e invitare il familiare a prendersi maggiormente cura di se stesso. Si limiti a osservare il paziente e identificare semplici indizi di cambiamento, se ci sono (141-142).
Un’altra possibilità è prescrivere al coniuge di comportarsi alcuni giorni con l’altro ‘come se’ il problema fosse risolto, qualsiasi cosa accada (168). I giorni in cui adottare questo comportamento vengono scelti col testa o croce (168). Lo scopo di questo esercizio è produrre eccezioni positive, e provocare così un comportamento diverso nel coniuge alcolista
3. Visitatore. Cliente e terapeuta non riescono a concordare qual è il problema e quale l’obiettivo. In particolare il paziente non è interessato a smettere (spesso perché non ha fiducia di riuscirci), mentre il terapeuta non è in grado di negoziare nessun obiettivo diverso dall’astinenza (80). Il risultato è che il cliente non vede alcuna ragione per andare in terapia. Possiamo avere questa situazione anche quando il cliente è inviato in terapia da qualcun altro (59).
In questo caso la strategia è trovare l’acquirente nascosto (63). Es: essere lasciato in pace dai superiori, riprendere la patente, etc. ‘Cosa pensa del fatto che l’abbiano mandato qui?’ ‘Cosa pensi del desiderio dei tuoi insegnanti?’ ‘Mi sembra che al momento lei non vede il suo consumo di alcolici come un problema. C’è invece qualche altro aspetto della sua vita che le piacerebbe cambiare?’ ‘Credo che oggi tu avessi di meglio da fare che venire qui a parlare con me (ottimo, manifesto empatia). Secondo te, per tua madre cosa dovrebbe accadere per farle credere che non devi più tornare?’ (84). Quando il paziente è stato inviato da qualcuno suggeriscono di contattarlo per capire cosa si aspetta dalla terapia perché può cooperare (63); questo contatto ne aumenta la collaborazione.
Domande da usare coi visitatori (85, 86):
1. Di chi è stata l’idea che lei venisse qui? / secondo XY qual è il motivo per cui lei deve venire qui?
2. Cosa deve accadere perché XY la lasci in pace? / cosa convincerebbe XY che lei non ha bisogno di venire qui? / cos’è che XY si aspetta per convincersi che lei non deve venire qui?
3. Secondo lei XY cosa deve fare di diverso con lei?
4. Cosa pensa che XY vorrebbe vederle fare per capire che il trattamento la sta aiutando?
5. Quando l’ha fatto l’ultima volta? / cosa c’era di diverso allora? / Come ha fatto? / cos’è stato utile per farla cominciare? Cosa direbbe XY che c’era di diverso quando lo faceva?
6. Qual è il primo passo che ha bisogno di fare per iniziare?
7. Cosa ci sarebbe di diverso nella sua vita? / che differenze apporterebbe alla sua vita?
8. Da cosa si accorgerebbe di aver fatto abbastanza? Cosa noterebbe XY di diverso, secondo lei? / che differenze ci sarebbero nelle relazione con la sua famiglia? / cosa farebbe di diverso da ora?
3. Come formulare bene gli obiettivi
I pazienti che abusano di alcol hanno un estremo bisogno di fare esperienze di successo, perché in genere ritengono la propria vita un fallimento (64). Per questo motivo è fondamentale formulare bene gli obiettivi. E’ utile fissare in anticipo il numero delle sedute (65).
1. l’obiettivo deve essere importante per il paziente e formulato dal paziente, ad esempio non ‘essere astinente’, ma ‘ridurre i litigi con la moglie causati dall’alcol’ (67). Se ci sono più soggetti coinvolti, allora gli obiettivi vanno negoziati con entrambi. cosa deve accadere per farle pensare che sia valsa la pena venire qui? Es: ‘Farei più vita sociale.’ ‘E quando questo accadrà, cosa ci sarà di diverso?’ (è un a variante della miracle question) (68). Se l’obiettivo non è chiaro, si dice al cliente che non è pronto per la terapia (82).
2. obiettivi piccoli (anche un percorso di migliaia di km inizia con un piccolo passo, 74), precisi, quantificabili, basati sul comportamento (aumentare di 1 giorno il periodo di astinenza, fare una passeggiata, fare un percorso tornando a casa che non passi davanti al bar preferito, andare a trovare un amico), realistici (76). Es: ‘Devo rimettere in ordine la mia vita.’ ‘E quale sarebbe il primo segnale che sta rimettendo in ordine la sua vita?’ / ‘Quale sarebbe il primo segnale che le fa capire di essersi avviato verso la soluzione?’
3. gli obiettivi devono essere basati sulla presenza di qualcosa, e non sull’assenza (70). In genere l’esito positivo del trattamento viene percepito come l’assenza del problema: non bere, non arrivare a casa ubriaco, etc. (71). Invece vanno formulati in positivo, quello che il paziente farà quando non berrà più: hobby, attività coi familiari, esercizio fisico, incontri. In questo modo si identificano inoltre comportamenti antagonisti al bere (71). ‘Quando il problema sarà risolto, cosa noterà di diverso? (73).
4. Gli obiettivi vanno presentati come ‘duro lavoro’, in modo da proteggere il cliente in caso di incapacità di raggiungere l’obiettivo (76). Al contrario, dirgli ‘Smettere è facile, basta volerlo’ esaspera i suoi sentimenti verso gli altri e/o la sfiducia in se stesso (77).
4. Durante i colloqui
1. congratularsi il più possibile col cliente (83): per essere venuto anche se non è stata una sua idea, per aver mantenuto il lavoro, etc. ‘La ringrazio innanzitutto per essersi presentata a questo colloquio anche se non è stata una sua idea. Poteva anche rifiutarsi di venire.’
2. cambiamenti pre-seduta. Al momento della telefonata per prendere appuntamento, prescrivere: ‘Vorrei che lei prestasse attenzione alle cose che vanno nella sua vita e che vorrebbe continuassero’ (146). La prima seduta inizia chiedendo cosa ha scoperto di voler continuare ad avere nella sua vita. Si può fare anche in seduta, per costruire una ‘lista dei successi’ da contrapporre alla ‘lista dei problemi’ (160). Chiedere quali cambiamenti si sono verificati preseduta (109) (il venire in terapia provoca sempre dei cambiamenti positivi, in questo modo gli riconosciamo un successo). Se ha bevuto meno, il passo successivo consiste nell’aiutare il paziente a trovare le modalità giuste per mantenere la sobrietà: ‘Cosa dovrebbe fare secondo lei per proseguire nella direzione che già intrapreso?’ Vorrei che d’ora in poi lei prendesse nota di tutte le cose che continuerà a fare per mantenersi sobrio (111).
3. interrogare riguardo alle eccezioni: ‘Sono curioso di sapere qualcosa relativamente ai giorni in cui non beve’ (113) ‘Cosa servirebbe per evitare di bere anche nei fine settimana?’ (114).
4. MIRACLE QUESTION (115): ‘Ammettiamo che stanotte mentre dorme, come per magia, il problema per cui è venuto qui si risolvesse. Lei non sa che si è risolto. Qual è la prima piccolissima cosa che domattina le indicherebbe che il problem si è risolto? Da cosa si accorgerebbe che il miracolo è accaduto? / Cosa noterebbe di diverso sua moglie? e i suoi figli? (o altri significativi) (137, 132). Se il paziente parla in termini di sentimenti: ‘Mi sentirei più rilassato’ etc. si chiede ‘Se si sentisse così, quali comportamenti esteriori noterebbe chi le è vicino?’ (118) ‘Qual è l’ultima volta che parte di questo miracolo è avvenuto, anche solo un po’?’ ‘Cosa deve fare per far tornare quel periodo soddisfacente?’ (158) (118) Quale pensa sarebbe il primo piccolo passo da fare perché un po’ di miracolo si realizzi? (119). Per i pazienti acquirenti, si può prescrivere di fingere che il miracolo sia avvenuto e di comportarsi davvero come se il problema fosse risolto. Si può prescrivere anche col testa e croce (168). La seduta successiva è dedicata a osservare attentamente i cambiamenti che si sono verificati (159). Lo scopo di questo esercizio è produrre eccezioni positive, e individuare cosa il paziente deve fare per continuare a ridurre il bere (168).
5. Usare scale di valutazione numeriche (121). Dopo qualche miglioramento: ‘Se 10 è il problema risolto e 1 la sua situazione iniziale, dove si vede adesso ? Cosa l’ha fatta aumentare?’ (121) / ‘Cosa servirebbe per passare da 3 a 4?’ (anche qui si crea una situazione ipotetica di miglioramento, utilizzando l’immaginazione) / ‘Da cosa pensa che la sua famiglia capirebbe che lei è a 4? ‘(enfasi sui comportamenti visibili) (123) / ‘E cosa ci sarebbe di diverso in lei? 123.’ / ‘Ha tanti problemi. Proviamo a dare un punteggio a ciascuno per gravità (125) (serve a individuare il problema che il cliente ‘compra’).
6. Domande su come riesce a gestire le difficoltà: ‘Come fa ad andare avanti tutti i giorni?’ (127) ‘Come fa ad alzarsi la mattina?’ (128) / ‘Come fa a evitare che tutto peggiori?’ (129) ‘Come ha fatto a evitare di picchiarla?’ Domande di questo tipo attribuiscono al cliente la responsabilità dei comportamenti positivi e utili (130). ‘Se lei volesse intenzionalmente peggiorare la sua situazione, cosa dovrebbe fare?’ ‘Se 100 indica la persona ideale che lei è sempre desiderato diventare, quanto è vicina a 100 adesso?Qual è il numero più alto che ha mai raggiunto? E cosa dovrebbe fare per tornare di nuovo a XX? Se l’ha già fatto può farlo di nuovo’ (126).
5. Altri accorgimenti (134)
1. interrompere la seduta per consultarsi con altri terapeuti che stanno osservando (136)
2. trovare sempre un motivo per giustificare che il paziente torni. Se la seduta è stata inconcludente: ‘Poiché oggi mi sembra che non siamo arrivati a un obiettivo, le suggerirei di pensarci per le prossime due settimane e poi tornare per parlarne di nuovo per capire meglio cosa può esserle utile’ (140, 138).
3. invitare il paziente a guardarsi con gli occhi di persone per lui significative. ‘Cosa direbbe sua moglie/figlia della sua situazione attuale? Secondo sua moglie/figlia in che modo potrebbe migliorare? Quale sarebbe la reazione di sua moglie/figlia se lei riuscisse a…. ‘(156).
4. ‘Presta attenzione a ciò che fai quando superi la tentazione di bere’ (159). E’ possibile anche prescrivere di tenere di un diario dove scrive cosa fa invece di bere nelle situazioni in cui riesce a non bere (154).
5. in situazioni in cui la possibile alternativa è radicale (es: continuare così o lasciare il marito alcolista, ma anche, per il singolo paziente, continuare a bere o cercare l’astinenza) (161) è necessario evitare di prendere posizione e dare consigli (163) utile dire ‘Una parte di me è a favore di…, ma l’altra parte di me non lo è. Sono confuso. Direi di pensarci meglio sia io che lei e vedere la prossima seduta se ci viene in mente una possibilità alternativa.’ Se sono due coniugi che litigano su chi deve fare il primo passo, è utile prescrivere che accantonino temporaneamente il problema e prima di decidere facciano qualcosa di piacevole (165).
6. LA PREDIZIONE. Con pazienti che ritengono di non avere controllo sul proprio bere. ‘Ogni sera prima di andare a letto predica (scriva) il tipo di comportamento che terrà domani rispetto agli alcolici. Il giorno dopo si comporterà come le viene, e a sera scrive se la predizione si è avverata e delle differenze che si sono verificate. In più fa una nuova predizione per la giornata successiva. Lo fa per una settimana e poi torna a dirci cosa è avvenuto.’ (170).
7. iniziare tutte le sedute con la tecnica della scala (171) per vedere dove il paziente ritiene di trovarsi nel processo di miglioramento.
7. Strategie per mantenere e accrescere il progresso. (pp. 173-195)
Le ricadute sono una costante del trattamento di persone che abusano di alcol. Secondo gli autori non conviene focalizzarsi solo su come evitare le situazioni a rischio (come ad esempio nell’approccio di Marlatt e Gordon 1980) (174) perché così si crea un paradosso in cui il cliente è forzato a continuare a pensare all’attività probita (175). ‘ Incrementare ciò che funziona è una via al successo più facile che interrompere qualche atto sgradevole.’ (190). ‘Tentare di far sì che qualcuno smetta di fare qualcosa è molto più difficile che arricchire le attività che sta già svolgendo (per esempio cioò che ha procurato successo nel passato e nel presente). (…) Per questa ragione, invece di concentrare gli sforzi terapeutici solo sulle situazioni ad alto rischio, l’approccio centrato sulla soluzione mira alle situazioni che possono condurre a un successo e dedica gran parte del tempo all’intento di promuoverle. Quando si verificano dei passi indietro, vengono considerati normali o, addirittura, indici di successo (…); d’altra parte non è possibile avere una ricaduta se non c’è stato alcun successo! Invece di occuparsi di analizzare il perché di tali passi indietro, il cliente viene immediatamente guidato alla ricostituzione del livello precedentemente raggiunto.’ (175).
Tutte le sedute, a partire già dalla seconda, devono prevedere la rassegna e il monitoraggio dei progressi del paziente. I successi anche piccoli vanno individuati e enfatizzati costantemente, cercando di far sì che il paziente li attribuisca alla propria azione e non a eventi o persone esterne (185). La raccolta di dettagli sui progressi è la parte iniziale di ogni seduta successiva successiva alla prima e può protrarsi anche per una ventina di minuti. Le domande da utilizzare sono le seguenti (176-177):
- ‘ Allora, cosa c’è che va meglio?’ / ‘Cosa c’è di meglio rispetto all’ultima volta che è stato qui?’
- ‘Come ha fatto?’ (più una serie di domande simili su come la persona ha ottenuto un successo: Chi altro se ne è accorto? Cosa hanno fatto quando l’hanno vista fare così? Da cosa capisce che hanno notato i suoi cambiamenti? Cosa è accaduto che l’ha aiutata a comportarsi in questo modo? Cos’altro ha fatto?
- ‘Cosa dovrebbe fare per rimanere su questa strada?’ ‘Che cosa dovrebbe fare di più per continuare a migliorare?’ aiutano invece il paziente a mettere a punto progetti per i giorni successivi (181-182)
Se il paziente riferisce che non ci sono stati miglioramenti significa che i cambiamenti non sono stati drastici a sufficienza da soddisfare le aspettative. In questi casi è utile fare una revisione dettagliata della settimana, approfondendo i giorni in cui il consumo di alcol è stato minore (183). Si veda questo spezzone di dialogo (183-184):
Terapeuta: Cosa c’è di meglio rispetto all’ultima volta che è venuta qui?
Cliente: Niente. Forse voleva dire cosa c’è di peggio.
T: Ne è sicura? (Sorridendo)
C: Assolutamente. (Sorridendo)
T: Come può essere?
C: E così. Non c’è niente di positivo (scuotendo la testa).
T: Vediamo, lei è venuta lunedì. Com’è andata lunedì?
C: Bene.
T: E come ha fatto a ottenere questo risultato?
C: Be’, ho parlato con le mie amiche più di quanto faccio di solito.
T: Bene, e martedì?
C: (guardando in alto) In effetti le cose sono andate bene mar-tedì, mercoledì e giovedì, fino a sabato andava tutto bene. Non ho dovuto dare ascolto a nessuno, ho fatto quello che volevo. Poi venerdì non è andata bene.
T: E sabato? È andata di nuovo meglio?
C: No, così così. Domenica è andata abbastanza bene. Ma oggi non ho fatto altro che piangere tutto il giorno.
T: Allora, lunedì, martedì, mercoledì e giovedì sono andati bene. Come ci è riuscita? Diceva di aver parlato di più, cos’altro?
‘Quando il cliente si trova ad affrontare un passo indietro rispetto all’obiettivo di astenersi dall’alcol, viene subito sopraffatto da sentimenti di vergogna, delusione, fallimento, colpa e rimprovero. La sensazione di aver fallito nel mantenere le promesse fatte a se stesso e a chi lo circonda conduce il cliente allo scoraggiamento e, spesso, a continuare a bere. Il ruolo del terapeuta è fondamentale, a questo punto, per aiutare il cliente a tenere conto dei successi ottenuti in precedenza e per sottolineare che il compito più importante è recuperare quanto prima il livello provvisoriamente abbandonato.’ (187). Si vedano le domande seguenti (187):
- Come hai fatto, quando sei riuscito a smettere di bere? Come sei riuscito a non superare le cinque birre?
- Come sei riuscito a fermarti al quinto drink, senza arrivare a sei? Cosa hai fatto di diverso?
- Da quali segnali hai capito che dovevi fermarti? Cosa ti ha fatto capire che era il momento di smettere? Cosa stai facendo per diventare più sensibile a quei segnali?
L’enfasi è su quello che il paziente ha fatto per smettere di bere, piuttosto che su ciò che l’ha portato a bere di nuovo (187).
7. Un commento
Nardone si focalizza sulle tentate soluzioni disfunzionali. Le blocca e poi propone delle attività fuori seduta che
- dimostrano alla persona che può superare il problema (ad esempio col ‘diario di bordo’ nel caso di attacchi di panico) o che
- appesantiscono il problema al punto che la persona abbandona il comportamento disfunzionale (ad esempio nelle compulsioni prescrive al paziente di ripetere 5 volte ogni comportamento compulsivo, quale ad esempio recitare una formula ‘magica’ prima di uscire di casa).
Gli autori invece si focalizzano sulle tentate soluzioni funzionali individuate dal paziente prima e durante la terapia. La strategia degli autori consiste, attraverso la ricerca di una salda alleanza terapeutica col paziente, nell’aumentare la frequenza di tali comportamenti. La relazione terapeutica viene costruita valorizzando qualunque elemento positivo del paziente, anche quelli apparentemente di minore importanza.
Gli autori dedicano ampio spazio a illustrare come gestire i casi molto frequenti, con persone che abusano di alcolici, di pazienti non motivati alla terapia e di familiari che si rivolgono al terapeuta al posto del paziente. Con pazienti non motivati suggeriscono di basare la terapia sul miglioramento di un qualunque aspetto di vita del paziente; in questo modo il consumo di alcolici dovrebbe diminuire di conseguenza. Nel caso sia un familiare a rivolgersi al terapeuta, gli autori suggeriscono di aiutarlo a capire in che modo può intervenie sul problema, in genere bloccando le tentate soluzioni disfunzionali (spesso focalizzate sul controllo del consumo).
Sappiamo che la nostra condotta è il risultato dell’integrazione di forze e sistemi vitali diversi. Fame, sete, ma anche il desiderio di consumare alcol e nicotina sono stimoli di natura fisica la cui soddisfazione cerchiamo di controllare razionalmente. In alcune persone tale controllo (basato per quanto ne sappiamo sulla potenza e quantità delle connessioni dei lobi frontali cerebrali con le altre parti del cervello) non è sufficientemente efficace. Il risultato è che la persona perde fiducia nelle proprie capacità di controllo del consumo e per questa via lo diminuisce ulteriormente. Sviluppa inoltre un’avversione per qualunque forma di trattamento, perché a causa delle frequenti ricadute la terapia diventa quella cosa che dimostra che il paziente è un fallito, e così peggiora l’autostima. La strategia degli autori consiste invece nel promuovere costantemente l’autostima e il senso di potere e nel valorizzare il più possibile le risorse personali.
Note: Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. L’articolo rispecchia le opinioni dell’autore al momento dell’ultima modifica. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.
Su Giorgio Nardone vedi anche gli altri articoli:
- Una introduzione alla Terapia Breve Strategica di Giorgio Nardone
- Una presentazione delle tecniche terapeutiche della Terapia Breve Strategica di Giorgio Nardone
- Gli Stratagemmi Terapeutici di Giorgio Nardone
- Un glossario dei termini maggiormente usati nella Terapia Breve Strategica di Giorgio Nardone