Una sintesi del libro L’organizzazione del lavoro. Dalla rivoluzione industriale allo smart working

In sintesi

I principali cambiamenti evidenziati dall’autore nel libro L’organizzazione del lavoro. Dalla rivoluzione industriale allo smart working di G. Maifreda sono i seguenti:

  1. Da corporazioni cittadine nel medioevo a mercanti che assegnano lavoro a domicilio nelle campagne e poi alle grandi fabbriche / (ma rimangono le imprese a rete nella terza Italia di Bagnasco)
  2. dal lavoro a domicilio qualificato al lavoro in grande fabbrica dequalificato (operaio massa)
  3. da agricoltura settore principale a manifattura e poi adesso servizi
  4. da grande fabbrica fordista a fabbrica automatizzata dove gli operai sono supervisori o se devono intervenire direttamente lavorano a squadre in isole produttive
  5. da fordismo a toyotismo che riduce prodotti finiti in magazzino (la produzione avviene sulla base della domanda, just in time), scarti (kaizen), tempi morti, magazzino (produzione snella) ma richiede un forte coinvolgimento delle maestranze
  6. perdita di centralità dell’operaio e del sindacato conflittuale.

Premessa

il libro descrive l’evoluzione nell’organizzazione del lavoro negli ultimi due secoli. Secondo l’autore, il racconto di questa trasformazione è stato caratterizzato da due diversi approcci.

Il primo approccio vede lo sviluppo dell’organizzazione del lavoro negli ultimi 200 anni come degradante, perché ha segnato il passaggio dei lavoratori da una condizione di liberi artigiani operanti che svolgevano la loro attività a domicilio alla subordinazione in fabbrica, impegnati in lavori dequalificati IX (i numeri romani e arabi si riferiscono alle pagine). La diffusione delle macchine automatiche rappresentò il compimento definitivo della subordinazione della forza lavoro alle norme della produzione capitalistica X.

Altri studiosi come, ad esempio, Piore e Sabel hanno segnalato che lo sviluppo industriale non ha seguito una linearità storica, e che negli stessi territori sono convissuti molto a lungo assetti produttivi e logiche manageriali molto eterogenee. In particolare, in molte zone d’Italia la produzione industriale ha assunto la struttura del distretto produttivo caratterizzato da reti di imprese, spesso specializzate in una singola fase produttiva, strettamente interlacciate le une con le altre. È un peccato che il libro non approfondisca questo aspetto ma si limiti a descrivere solo l’evoluzione della grande fabbrica.

La rivoluzione industriale porta l’accentramento della produzione in un unico luogo, la grande fabbrica, e questo rende possibile un’enorme incremento di produttività. Secondo l’autore questi cambiamenti non furono il risultato oggettivo delle nuove tecniche impiegate (prima l’energia prodotta dal vapore, poi quella prodotta dall’elettricità), ma, seguendo Foucault (XII), dell’azione del potere. Foucault, nelle sue opere, postula che le vicende sociali degli ultimi 300 anni siano state determinate dall’azione di un soggetto immateriale, dotato di coscienza e di potere illimitato di intervento nel mondo sensibile (il potere), volto ossessivamente al controllo degli umani, che a loro volta sono ridotti a corpi, cioè a fantocci inanimati. Sulla stessa posizione di Foucault (ma, al contrario di Faucault, senza reificare il potere) anche Stephen A. Marglin, What Do Bosses Do?: The Origins and Functions of Hierarchy in Capitalist Production e la convincente risposta di Landes What do bosses really do? Sia Faucault che Marglin seguono una visione dell’impresa che Causarano chiama cospiratoria.

Questa impostazione, molto più netta nel precedente e più ampio libro La disciplina del lavoro. Operai, macchine, fabbriche nella storia italiana (2007) viene qui stemperata dall’affermazione sul carattere relazionale del potere esercitato dagli imprenditori. Secondo l’autore durante lo sviluppo industriale si assiste piuttosto all’instaurazione di nuovi e numerosi punti di scambio, saturi di relazioni di potere, fra le vite dei lavoratori e il sistema economico nel cui complesso, in cui le forme concrete della produzione organizzata giocarono un ruolo determinante XIII.

Nel libro l’autore fa una serie di approfondimenti su temi e svolte che ritiene significative.

Una nuova epoca

All’inizio dell’Ottocento l’attività industriale non era soggetta ai molti vincoli che conosciamo adesso. Imprenditori e dipendenti erano liberi di concordare il salario e le modalità della prestazione lavorativa 2. Le leggi erano pensate per una realtà economica popolata da piccoli produttori, più commercianti che industriali 2. La gran parte degli imprenditori era favorevole all’assenza di intervento statale nelle relazioni industriali. Le attività produttive erano caratterizzate dall’impiego di massa di donne e bambini, con orari di lavoro estremamente lunghi 9.

Gli imprenditori più illuminati adottavano il paternalismo organico, vale a dire non solo fornivano lavoro, ma si occupavano anche di aspetti della vita quotidiana dei lavoratori, come la costruzione di abitazioni, la gestione di scuole, chiese, ospedali, e altre istituzioni sociali. Questo creava una relazione simbiotica, dove i lavoratori dipendevano in gran parte dal datore di lavoro per il loro benessere complessivo, non solo per il salario.

Nel 1863 si verifica a Biella uno dei primi scioperi italiani dopo l’unificazione 8, che si concluse con la stipula del concordato Mancini, che manteneva la pratica dell’apprendistato.

Nel 1886 la legge Berti vietò il lavoro dei fanciulli prima dei 9 anni e il loro lavoro notturno prima dei 12. Nel 1898 fu introdotta l’assicurazione obbligatoria dei dipendenti a carico dell’imprenditore. Nel 1902 la legge Carcano regolo ulteriormente il lavoro delle donne e dei minori. Nel 1912 fu creato il corpo degli ispettori del lavoro. 10.

Prima della rivoluzione industriale, fra il ‘500 e l’800 , il processo di produzione era organizzato da grossi mercanti. I mercanti commissionavano i semilavorati, filati o tessuti, da artigiani e lavoratori a domicilio, spesso contadini che lavoravano in zone rurali. Facevano poi ritirare il semilavorato e lo fornivano ai laboratori che effettuavano la fase di produzione successiva. In precedenza, invece la gran parte delle attività era svolta dai proprietari delle botteghe urbane, che, sebbene cercassero di proteggersi tramite le loro arti o corporazioni, persero così potere a favore dei detentori del capitale mercantile. L’assetto corporativo rimase importante i mestieri come la calzoleria, la gioielleria, e altre attività di lusso. 12. Le corporazioni vengono soppresse intorno alla fine del 700 12.

Candore scintillante

I regolamenti di fabbrica definivano i comportamenti desiderati nei dipendenti, che fra l’altro riprendevano quelli già richiesti in precedenza a quanti lavoravano sottoposti a padroncini a domicilio 18.

La Confederazione generale del lavoro nasce a Milano nel 1906 19

In questa fase, i lavoratori delle fabbriche italiane erano caratterizzati da indisciplina e inadeguatezza tecnica, tant’è che molte imprese assumevano lavoratori all’estero 21. Dall’estero proveniva anche la gran parte dei macchinari. C’è un costante il tentativo di assicurare ordine e pulizia all’interno degli stabilimenti.

I corpi e le macchine

Macchinari più avanzati iniziano a diffondersi in Italia all’inizio dell’Ottocento. In questa fase gli esperti nelle lavorazioni erano i capi reparto, a cui spettava anche la gestione del personale, Incluso assunzioni, addestramento e sorveglianza, a esclusione della contrattazione dei salari a cui provvedeva invece il proprietario. 42. Il personale impiegatizio era molto ridotto.

Tutte le imprese lavoravano su commissione, la produzione per il magazzino era quasi inesistente. Non esistevano prodotti standardizzati 42.

Grazie a macchinari a vapore o elettrici la produzione aumentò notevolmente in particolare nel settore tessile 43, con la diffusione del filatoio automatico. Fra il 1850 e il 1870 anche gli altiforni europei conobbero un rapido sviluppo tecnologico 44.

La macchina semiautomatica o automatica svolgeva direttamente le operazioni che prima erano seguite dall’operaio. L’operaio si limitava adesso ad attrezzare l’utensile e a controllarne il funzionamento. Questo diminuì la necessità di abilità manuale da parte degli operai, la macchina banalizzava il mestiere. Molti operai si sentirono defraudati dalle macchine. Altri operai, una minoranza, ottennero aumenti di stipendio in qualità di attrezzisti e manutentori. 49

Si ebbe una rivoluzione anche nei salari, che inizialmente erano a tempo. Alla retribuzione di base fissa fu aggiunta una parte variabile che dipendeva dalla quantità di lavoro svolto. Si diffuse così la retribuzione a cottimo 50. A partire dal 1900 la grande scala di produzione delle imprese di seconda rivoluzione industriale (caratterizzata da diffusione dell’acciaio, elettricità, motore a scoppio interno, chimica, ferrovie, urbanizzazione) frantumò il lavoro umano in operazioni semplici 51. Il lavoro fu organizzato raggruppando le macchine uguali in aree omogenee, che effettuavano le stesse lavorazioni su parti che era poi necessario montare altrove 52.

Il primo esempio di catena di montaggio, dove il pezzo si sposta su un nastro trasportatore e viene progressivamente lavorato, fu nell’impianto Ford di Highlands Park nel 1913 51.

In questo periodo si sviluppò l’analogia fra corpo umano e macchine 57.

Scienza al maschile, lavoro al femminile

La Prima guerra mondiale diede un grosso sviluppo alla produzione industriale moderna. L’enorme richiesta di prodotti bellici rese conveniente l’innesto del taylorismo anche in Europa 61 e valorizzò il sapere scientifico 64.

Il regime fascista contribuì allo sviluppo tecnico e scientifico. Le fabbriche più grandi erano fortemente disciplinate secondo le teorie di Henry Fayol 66.

La riforma Gentile del sistema scolastico avvenuta nel 1923 rispondeva alla necessità di formare apprendisti. Le scuole furono divise in scuole di avviamento, scuole industriali, 67. Presero avvio anche corsi per le maestranze 68.

Nelle fabbriche vigeva la segregazione di genere. I lavori qualificati erano in genere assegnati agli uomini 70. La presenza delle donne in fabbrica si affermò rapidamente soprattutto nelle aree rurali dell’Italia centro settentrionale. In una rilevazione statistica del 1876 le operaie erano il doppio degli operai maschi adulti; una parte rilevante della manodopera era costituita da bambini. Settori ad alta percentuale femminile erano il tessile, i tabacchi, la gomma, l’industria chimica 75. Molte donne lavoravano ancora a domicilio, usando la macchina da cucire, I ferri da calza, occupandosi di rifinitura di scarpe, valigie, guanti in altri articoli di pelletteria 75.

In questo periodo in alcune fabbriche si controllava la moralità delle donne, e spesso smettevano di lavorare in fabbrica al momento del matrimonio 78

A inizio del 900 le donne venivano ritenute più deboli dell’uomo, più adatte a lavori di precisione, le donne venivano spesso destinate al lavoro i ripetitivi o di precisione, mentre i lavori tecnici specializzati o artigianali erano svolti dagli uomini.

La Prima guerra mondiale creò occasioni di lavoro per le donne, ma non tantissime, furono aumentate soprattutto l’occupazione maschile e le ore di lavoro.

Una organizzazione per il boom

Le macchine automatiche concentrano nello stesso dispositivo una pluralità di funzioni semplici, in questo modo la macchina riesce a effettuare varie operazioni tutte assieme, riducendo o eliminando il tempo che serviva a trasportare il pezzo da un capo all’altro della fabbrica o da una macchina all’altra 90. L’automazione è quindi una ricomposizione del ciclo di lavoro svolto dalla macchina 91. Gli operai qualificati furono così demansionati 91, alcuni una minoranza iniziarono a lavorare come attrezzisti o manutentori, tutti gli altri diventarono manovali specializzati 92.

Poiché le macchine svolgevano da sole una buona parte del lavoro gli imprenditori cercarono di assegnare allo stesso operaio la supervisione le macchine diverse 93.

Uno sviluppo ulteriore si ebbe con le macchine transfer, composte di varie stazioni in cui il pezzo passava dall’uno all’altra secondo la lavorazione da eseguire 94. In questo modo il lavoro umano si riduce fino a quasi a scomparire 95

In Italia macchinari di questo tipo si diffusero dopo l’Autunno caldo 97, tuttavia i processi produttivi organizzati in questo modo avevano una serie di problemi 98 in quanto queste macchine non erano in grado di gestire piccole imperfezioni lavorative.

Lavoro e cambiamento sociale

Negli anni 60 In Italia il mercato dell’automobile era in enorme espansione e questo portò ad assumere migliaia di giovani lavoratori che venivano dal Sud Italia. Questo ridusse il controllo sociale dei capi nella Fiat e in altri stabilimenti simili. Alla Fiat i capi intermedi erano tutti piemontesi, mentre i lavoratori dequalificati erano meridionali 109. Lo stabilimento di Mirafiori era stato creato con lunghe linee di montaggio, esistevano catene di montaggio di reparto che affluivano alle catene centrali 111. In questo modo si ebbe un calo degli specializzati all’11%, dei qualificati al 23%, mentre gli operai comuni crebbero al 56%. Gli impiegati raddoppiarono 112. La produzione era organizzata con un’estrema scomposizione dei compiti secondo i principi del taylorismo 112.

Nel dopoguerra in Italia il tasso di femminilizzazione del lavoro era intorno al 25%, fra il più bassi dell’occidente 120. Le cause secondo l’autore sarebbero il raggiungimento di un benessere economico diffuso e l’abbandono dell’agricoltura. La riduzione delle occupate nell’industria fu solo parzialmente confermata dall’incremento di occupazione nel terziario.

Il libro a un certo punto fa riferimento alla Borletti, che negli anni 50 era specializzata nella lavorazione di tachimetri e in macchine da cucire. Giovani donne costituivano il 56% dei lavoratori totali, tuttavia avevano i compiti più dequalificati ed erano pagate meno degli operai uomini. Un elemento innovativo alla Borletti fu la job evaluation che permetteva di valutare le differenti mansioni indipendentemente dalle qualifiche assegnate. Lo stipendio era così dipendente dai risultati della job evaluation e non dalla qualifica assegnata 122. La job evaluation fu poi allargata alla Necchi di Pavia e poi all’Italsider di Piombino, Bagnoli, Taranto. I sindacati si divisero 123. Tuttavia, siccome le donne svolgevano lavori dequalificati anche questa strutturazione non riuscì ad assicurare retribuzioni equivalenti 124. Gli impiegati erano ugualmente in maggioranza uomini 127.

La fine di un’epoca

Olivetti pensava che gli imprenditori dovessero preoccuparsi anche della crescita sociale e culturale dei suoi dipendenti e di tutta la nazione 131. Olivetti era critico nei confronti del sistema per il calcolo dei salari 131 che riteneva inferiore al sistema di Taylor. Diventato presidente nel 1938 coinvolse nell’attività numerosi intellettuali costruendo anche case per i dipendenti nonché biblioteche asili e colonie estive 132. Creò anche il consiglio di gestione un organismo paritetico con un ruolo consultivo sui temi socioassistenziali. Impiantò una fabbrica anche a Pozzuoli. Muore nel 1960. Per la rilevazione dei tempi utilizzava gli allenatori, cioè operai esperti che facevano da riferimento per i nuovi lavori per calcolare il cottimo 133. Inoltre collaboravano all’allestimento delle linee di lavoro. Un’altra caratteristica fu l’introduzione di catene ellittiche e semoventi nei montaggi. Morto Olivetti furono create le unità di montaggio integrate in cui gli operai doveva montare un gruppo elettronico completo 135 Poi il gruppo si occupava anche del collaudo e di eventuali riparazioni, erano una sorta di isole produttive che poi furono adottate anche alla Italtel di Marisa Bellisario 136.

Dopo il ‘68 in molte fabbriche gli operai rifiutarono la catena di montaggio fordista dove c’era un’attenzione spasmodica e una riduzione costante dei tempi 138 e si cercarono perciò nuove soluzioni.

Gli scioperi a gatto selvaggio 1963 bloccavano le linee di montaggio alla Fiat, perché mancavano i ‘polmoni’ 139.

Il sindacato, ad esempio Trentin, spingeva per l’inquadramento unico superando la rigida classificazione gerarchica fra impiegati, tecnici e operai, e la costituzione di unità funzionali di lavoro 141. L’inquadramento unico fu ottenuto nel rinnovo contrattuale metalmeccanici del 1973. in questo modo gli operai specializzati potevano guadagnare quanto gli impiegati.

La legge 300/1970 statuto dei lavoratori tutelava i diritti di opinione i sindacati, limitava i controlli, impediva di fatto il licenziamento.

Nel 1961 presso la camera del lavoro di Torino viene creata la commissione medica 142, e da allora ma specialmente dal 1967 furono svolte varie indagini sulla salute di fabbrica non solo a Torino. In fabbrica esistevano i medici fiscali ma supportavano le imprese. A Milano nel 1910 viene creata la clinica del lavoro 143.

Il lavoro non finisce

Dall’inizio degli anni 2000 il sistema economico italiano si va sempre più caratterizzando per la riduzione della grande fabbrica a favore di imprese e di dimensioni medie e dei distretti industriali. L’industria italiana destinata a rivolgersi a mercati di nicchia.

In Italia lo spazio della concertazione diffuso in Germania e anche in altri paesi ha avuto vita breve 151 ad esempio era accaduto all’Alfa Romeo di Arese prima del passaggio alla Fiat a fine degli anni 70. L’Alfa Romeo basò la produzione su gruppi di produzione con operazioni produttive raggruppate 153; ogni gruppo di produzione era composto da 10 al 20 persone, con buoni risultati 154.

Un altro caso di innovazione organizzativa fu la Honeywell azienda informatica 155.

La Fiat dopo l’autunno caldo adotto due strategie: A decentramento e B. automazione 157, tuttavia le macchine transfer avevano l’incapacità di autocorreggersi, o di adattarsi al lievi difetti di produzione come invece i lavoratori umani e questo determinava frequenti interruzioni di linea 158.

Il job enrichment consiste nel a far svolgere ai lavoratori una serie attività diverse, meno routinarie, con una maggiore autonomia e responsabilità, attraverso la ricomposizione di un ciclo produttivo compiuto 159 ponendo al centro dell’attenzione il gruppo come cellula organizzativa.

Le prime isole di montaggio furono sperimentate nella Volvo nel 1971, i pezzi venivano spostati su carrelli gestiti da un calcolatore centrale. Qualcosa simile anche nell’altra fabbrica dell’azienda Saab 160. La Fiat provo qualcosa di simile a Rivalta ma l’esperimento fallì 162 a causa di una certa rigidità del sistema da un . di vista tecnico 162.

Nel modello Ritmo all’inizio degli anni 80 fu utilizzato il sistema LAN linea sincrona di montaggio e anche la lavorazione asincrona dei motori fondata sull’impiego di carrelli e magazzini automatici. Come in Svezia l’elaboratore centrale gestiva il traffico dei carrelli verso le isole di montaggio 164.

In generale in molte aziende si utilizzarono unità di produzione piccole e ripetute invece che lunghe e complesse catene di montaggio, con la riduzione del controllo di produzione e delle riparazioni a fine lavorazione, che vennero invece distribuite lungo il ciclo produttivo seguendo il modello organizzativo della qualità totale 165.

Isole di montaggio furono organizzate anche all’Olivetti nel 1970 abbandonando le linee produttive 165.

Sintetizzando l’autore dice che l’automazione fu un’esperienza non pienamente riuscita, perché la produzione continuò a fondarsi sulla produzione di massa e l’accumulazione di materie prime e prodotti finiti per rimediare possibili imprevisti 167. in più in ambito commerciale e amministrativo rimaneva una direzione gerarchica e una suddivisione spinta delle competenze 167. Da un punto di vista di operai la fatica fisica era diminuita e anche la sensazione di sfruttamento.

Alla fine si arriva al modello Toyota con la possibilità di fermare la linea in caso di difetti (Kaizen), con risparmio di scorte (produzione snella), la produzione su commessa (just in time) 170 Questo sistema richiede un’elevata responsabilizzazione nei laboratori e una loro approfondita formazione 171

In Italia il sistema fu usato alla Fiat di Termoli e Melfi, con alcune resistenze da parte dei lavoratori relativa all’aumento dei ritmi di lavoro e il mancato riconoscimento economico. il job enrichment non genera automaticamente soddisfazione e consenso, gli operai volevano aumenti salariali che però la Fiat non era in grado di dare 173.

Il sindacato passa da organismo conflittuale a organismo partecipativo 174. Siccome la world class manufacturing promossa da Marchionne porta uno stretto rapporto fra direzione operai i sindacati si sono a lungo opposti al toyotismo, la prospettiva è quella di un sindacato fortemente integrato all’interno dell’azienda, un sindacalismo di impresa, cosa lontana dalla conflittuale cultura italiana 174

Epilogo

Lo standard del lavoro è sempre stato il lavoro precario. E’ solo nella seconda metà del ventesimo secolo che il lavoro è divenuto a tempo pieno e indeterminato. In precedenza, il lavoro miscelava prestazioni lavorative diverse, ad esempio agricoltura e industria, piccola proprietà contadina e in fabbrica. Secondo alcuni il fordismo ha generato un sistema di relazioni industriali troppo rigido, presto diventato obsoleto e insostenibile economicamente 176.

Secondo altri invece il lavoro stabile è una conquista di civiltà da tutelare, ad esempio Sylos Labini vedeva nel precariato un capitalismo arretrato, ostacolo allo sviluppo economico. Il lavoro precario sarebbe anche una minaccia per il ruolo delle donne 176. Il lavoro precario è soprattutto femminile. In Italia il part-time involontario femminile sarebbe il 58% contro il 25% della media europea 176

Troviamo lavoro nero nell’agricoltura, immigrati soggetti a caporali Campania Basilicata Puglia Calabria 177.

il termine industria 4.0 si riferisce a un sistema di produzione con una connessione sistematica fra sistemi produttivi e sistemi informativi fisici e digitali, all’uso dei big data, ad aggiustamenti continui del complesso produzione consumo grazie alle informazioni ricevute 177. Questo richiede che i macchinari siano sempre connessi alla rete. E’ un passo in avanti ulteriore verso l’automazione con possibili rischi per gli occupati. La spinta all’automazione avviene nei paesi dove le tasse sul lavoro hanno un’aliquota superiore a quella del capitale e dove c’è molta conflittualità sindacale e assenteismo 178. Secondo l’autore l’automazione conviene solo se ci sono politiche fiscali favorevoli 178.

Il telelavoro è un lavoro in genere di ufficio svolto da un luogo preciso in genere la propria abitazione. È più rigido del lavoro agile perché gli orari le mansioni sono rigidamente determinate. Smart Working: maggiore flessibilità e autonomia, con un approccio basato sui risultati e non vincolato da un luogo o un orario specifico.

Alcuni studiosi evidenziano i benefici e le possibilità del lavoro agile quali miglior conciliazione fra tempi e ritmi di lavoro e vita privata. Secondo De Masi l’allungamento della speranza di vita, del tempo libero l’azzeramento del tempo e dello spazio, lo smart working ci libera dal lavoro con forme di vita più libera e felice perché il lavoro decrescente si accompagna a produzione crescente di ricchezza 180.

Altri studiosi lamentano il superamento della fisicità del luogo e dell’orario di lavoro. Col venir meno della separazione fra tempo di lavoro e tempo libero e difficoltà a rivendicazioni salariali. Vengono meno le norme sulla sicurezza del lavoro, i rapporti umani sono ridotti 181.

Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. Riproduzione riservata. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.