
La struttura produttiva italiana è caratterizzata da una forte concentrazione in settori a basso valore aggiunto, una realtà che influisce negativamente sulla crescita salariale e sulla competitività del Paese. Sebbene esistano molteplici fattori che contribuiscono a questa situazione, l’orientamento verso industrie tradizionali e meno innovative rappresenta un elemento cruciale.
Predominanza di settori tradizionali
L’Italia ha storicamente focalizzato la propria produzione in ambiti come il tessile, l’abbigliamento, il calzaturiero e l’agroalimentare. Questi settori, pur essendo fondamentali per l’economia nazionale, tendono a generare un valore aggiunto inferiore rispetto a industrie ad alta tecnologia e innovazione. Di conseguenza, la capacità di offrire salari elevati è limitata, poiché aumenti retributivi significativi potrebbero compromettere la competitività delle imprese sui mercati internazionali.
Secondo un articolo su Il Giornale:
In Italia, su circa 24 milioni di occupati, la maggioranza si concentra nel terziario (18-19 milioni), mentre l’industria occupa tra i 4 e i 5 milioni di persone e l’agricoltura poco meno di un milione. Questo significa che gran parte dei lavoratori è impiegata in ambiti caratterizzati da bassa produttività e retribuzioni limitate, come ristorazione, ospitalità e piccole imprese contoterziste. Settori ad alta innovazione e ad alto valore aggiunto, come la tecnologia e la manifattura avanzata, non riescono a trainare il mercato del lavoro.
Italia economia da bar
L’economista Tridico afferma che l’Italia sta sempre più diventando una ‘economia da bar’:
In un recente articolo l’economista Pasquale Tridico, ex presidente dell’INPS eletto su indicazione del Movimento 5 Stelle, racconta l’evoluzione del tessuto produttivo italiano. Tridico segnala che:
Negli ultimi 30 anni, il sistema economico italiano ha vissuto un cambiamento strutturale e istituzionale, sintetizzatore in quel processo che ci ha portati verso una terziarizzazione dell’economia, con una graduale riduzione della quota lavoro in agricoltura e nell’industria, a favore dei servizi. Oggi quasi il 73% della forza lavoro in Italia è impiegata nei servizi, circa il 23,5% nell’industria, e il 3,5% in agricoltura. Trenta anni fa il settore industriale impiegava oltre il 31% della forza lavoro, prevalentemente concentrato nel settore manifatturiero.
Tali processi sono naturali nei sistemi economici complessi, caratterizzati da una transizione strutturale da settori maturi verso settori avanzati. Il problema sorge quando queste trasformazioni avvengono con un aumento in settori non avanzati dei servizi, a basso valore aggiunto, a scarso contenuto tecnologico, e quindi con scarsi guadagni di produttività, come turismo (ristorazione e alloggi), servizi alla persona. Il nostro Paese è caratterizzato negativamente da questa transizione verso servizi “non avanzati”.
Tridico evidenzia come in Italia siano carenti, rispetto ai paesi del Nord Europa, gli investimenti in settori Ict, dei servizi alle imprese, dell’elettronica avanzata, della biomedica, delle nanotecnologie, dell’automotive avanzato, e in Ricerca e Sviluppo.
L’Italia è troppo concentrata in quella che Tridico chiama economia da bar:
Nell’”economia da bar”, per quanto si possano fare buoni caffè, ottime pizze ed eccellenti mozzarelle, non ci sono margini sufficienti per creare guadagni di produttività e valore aggiunto competitivi rispetto all’innovazione prodotta dai Paesi del Nord Europa nei settori dei servizi avanzati, caratterizzati da investimenti capital intensive.
Tridico lamenta che, invece che promuovere innovazione, capace di generare valore aggiunto importante, aumentare la produttività e permettere salari crescenti, le regole di mercato, nell’industria e nel mercato del lavoro (…) hanno affiancato negativamente tale trasformazione, incentivando investimenti labour intensive che fanno perno su bassi salari, su flessibilità del lavoro che sfocia in precarietà diffusa, su contratti collettivi pirata senza minimi legali dignitosi, su defiscalizzazione e decontribuzione generalizzata del lavoro, con sussidi a pioggia per gli investimenti e per le assunzioni.
Vedi anche l’articolo L’affaire produttività e Settori produttivi e valore aggiunto: il peso del terziario.
Divario Nord-Sud
Esiste un forte divario tra le regioni del Nord e del Sud del paese. Mentre il Centro-Nord ha livelli di PIL pro capite superiori alla media europea, il Sud si attesta intorno al 60% di tale media, riflettendo disuguaglianze strutturali che influenzano negativamente la produttività nazionale3 4.
Impatto sulla produttività e sui salari
La concentrazione in settori a basso valore aggiunto si riflette direttamente sulla produttività del lavoro. Secondo il Rapporto sulla competitività dei settori produttivi dell’Istat, nel 2022 l’Italia ha registrato una crescita del PIL reale del 3,7%, recuperando i livelli pre-pandemici, ma la produzione industriale, al netto delle costruzioni, ha mostrato una brusca decelerazione (+0,5% nel 2022 rispetto al +12,2% del 2021) . Questa stagnazione produttiva limita le risorse disponibili per incrementi salariali, mantenendo le retribuzioni su livelli contenuti.Istat
Differenze retributive nelle dimensioni aziendali
Un ulteriore aspetto da considerare è la dimensione delle imprese italiane. Le piccole e medie imprese (PMI) dominano il panorama industriale italiano, e ciò ha implicazioni significative sulle retribuzioni. Come evidenziato dall’Inapp, un dipendente di una piccola impresa percepisce in media una retribuzione oraria lorda inferiore del 30% rispetto a un collega impiegato in una realtà medio-grande . Questa disparità sottolinea come la struttura produttiva, oltre a influenzare la competitività, incida direttamente sul potere d’acquisto dei lavoratori.InApp
Conseguenze sulla competitività nazionale
La combinazione di bassa produttività e salari stagnanti ha ripercussioni sulla competitività dell’intero sistema economico italiano. Secondo il Centro Studi Confindustria, tra il 2000 e il 2020, nel manifatturiero italiano, i salari reali sono cresciuti del 24,3%, in linea con la variazione della produttività del lavoro (22,6%). Tuttavia, in altri Paesi europei, la produttività è aumentata a ritmi più sostenuti, determinando una perdita di competitività per l’Italia .Homepage
Conclusione
La prevalenza di settori a basso valore aggiunto nella struttura produttiva italiana rappresenta un ostacolo significativo alla crescita dei salari e alla competitività del Paese. Per invertire questa tendenza, è fondamentale incentivare l’innovazione, diversificare il tessuto industriale verso ambiti ad alta tecnologia e supportare le PMI nel processo di crescita dimensionale e qualitativa. Solo attraverso una strategia integrata sarà possibile creare le condizioni per un aumento sostenibile delle retribuzioni e per un rafforzamento della posizione dell’Italia nel contesto economico globale.
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993.Riproduzione riservata. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.