Edgar H. Schein è stato un famoso consulenze aziendale americano. In questo articolo vediamo i punti salienti del suo libro Humble Inquiry (2013); in italiano L’arte di fare domande. Quando ascoltare è meglio che parlare (2014).
Per costruire relazioni efficaci, secondo Schein dovremmo:
- abituarci a dire meno
- imparare a domandare di più, e a farlo con umiltà
- diventare più bravi ad ascoltare e a riconoscere gli altri 20.
Vediamo in che modo Schein sviluppa la sua argomentazione.
Chiedere e domandare implica un rapporto di potere
Da un punto di vista sociologico, dicendo si mette l’interlocutore in posizione di inferiorità. Si pensa di comunicare all’altro qualcosa che non sa, e che invece dovrebbe sapere e che noi sappiamo 21.
Domandare invece equivale a un temporaneo trasferimento di potere all’interlocutore e di conseguenza a rendersi vulnerabili. Implica che l’altra persona sappia qualcosa di più di noi qualcosa che desideriamo o che abbiamo bisogno di sapere. Se fra gli obiettivi della conversazione c’è quello di migliorare la comunicazione costruire una relazione, dire è più rischioso che domandare 21
La cultura del dire e del fare
Privilegiamo il dire rispetto al domandare perché [negli Stati Uniti] viviamo in una cultura pragmatica e orientata alla risoluzione dei problemi, che dà valore al sapere e al comunicare agli altri ciò che sappiamo. Nello stesso tempo portare a termine dei compiti è considerato più importante che costruire relazioni 22.
Schein a approfondisce alcuni aspetti della cultura statunitense.
Atteggiamento numero 1: una cultura in cui ha più valore portare a termine un compito che costruire una relazione
La cultura statunitense è improntata all’individualismo, alla competitività, all’ottimismo e al pragmatismo. Per noi l’unità di base della società è l’individuo, i cui diritti vanno tutelati a qualunque costo. Abbiamo spirito imprenditoriale e ammiriamo il successo personale. La competizione ci fa bene. Ottimismo e pragmatismo si manifestano nella tendenza a perseguire obiettivi a breve termine e nell’idiosincrasia per i progetti a lunga scadenza. Non ci piace riparare e migliorare le cose quando ancora funzionano. Preferiamo utilizzarle finché non si rompono, perché confidiamo di poterle metterle a posto allora, oppure sostituirle. Siamo arroganti e, nel profondo, convinti di poter sistemare qualunque cosa. 71
Soprattutto consideriamo più importante portare a termine un compito che costruire una relazione. (…) il gruppo non ci piace non ci ispira fiducia. (…) invece delle relazioni valutiamo e ammiriamo la competitività, la capacità di prevalere, di parlare più forte degli altri, di giocare d’astuzia, di piazzare al cliente un prodotto che non voleva 72.
Negli Stati Uniti, prestigio e status si ottengono operando con successo, e una volta raggiunta una posizione di superiorità si è autorizzati a dire agli altri che cosa fare 74.
Atteggiamento numero 2: la cultura del dire
Altra cosa che diamo per scontata e che dire valga più che domandare. Apprezziamo la capacità di fare le domande giuste, ma non di chiedere in generale. Chiedere è indice di ignoranza e debolezza. Possedere delle conoscenze cosa molto apprezzata; dire agli altri ciò che sappiamo ci viene naturale, perché siamo abituati a farlo nella maggior parte delle situazioni 76.
Limiti dell’approccio basato sul dire e sul fare
Se in un gruppo di lavoro il clima comunicativo non è buono, i collaboratori non segnaleranno al responsabile e ai colleghi le cose che non funzionano e il risultato complessivo del lavoro di squadra risulterà pericoloso o scadente.
Quando precipita un aereo, si verificano fuoriuscita di sostanze chimiche oppure un raro catastrofico incidente nucleare (…) capita spesso di scoprire che un dipendente di rango inferiore era in possesso di informazioni che avrebbero permesso di evitare l’incidente o di ridurne la portata, ma che queste informazioni non sono arrivate ai gradi superiori, oppure sono state ignorate o scartate. (…) Quando parlo coi subordinati molti mi confessano di non azzardarsi a riferire cattive notizie ai capi, oppure raccontano di averci provato ma senza ottenere risposta né attenzione, sicché hanno concluso che il loro input non era gradito e hanno lasciato perdere. In un numero impressionante di casi ammettono di aver optato per l’alternativa più rischiosa pur di non irritare il superiore con notizie potenzialmente sgradite. I medesimi problemi di comunicazione li ritrovo negli ospedali, nelle sale operatorie nel sistema sanitario in generale, dove spesso sono i pazienti a farne le spese 12-13.
La cosa più sorprendente è che quello che manca in tutte queste situazioni è un clima in cui i subordinati non abbiano timori di sollevare questioni che vanno affrontate e di riferire informazioni che potrebbero ridurre la probabilità di un incidente o virgola in ambito sanitario, di un errore che potrebbe magari costare la vita al paziente 13-14.
Per questo motivo, secondo Schein, nelle organizzazioni è necessario creare relazioni personalizzate, soprattutto quanto i gruppi di lavoro comprendono persone di culture diverse 11-12.
Quando dipendiamo da qualcuno per portare a termine un determinato compito [i manager dipendono in genere dai collaboratori], è essenziale costruire una relazione con questa persona, in modo da consentire un’aperta comunicazione sui compiti da svolgere 26.
Per costruire una relazione personalizzata, secondo Schein è necessario fare domande, nella modalità che lui chiama umile ricerca di informazioni 32.
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La differenza fra l’umile ricerca di informazioni e altre forme di indagine
Esistono molti tipi di domande, vediamo la classificazione di Schein.
L’umile ricerca di informazioni
Le domande di questo tipo chiedono semplicemente informazioni sulla situazione dell’altra persona. Ad esempio:
- come posso aiutarla?
- che cosa l’ha spinta a venire qui?
- mi spieghi quello che succede?
- può farmi degli esempi? (molto importante)
- c’è altro da aggiungere?
Altri tipi di domande
Ci sono poi altri tipi di domande, che non sempre aiutano a costruire una relazione. A seconda del tono con cui sono poste e del momento nella conversazione in cui sono poste possono sottintendere e contribuire a creare ruoli non paritari. Schein descrive innanzitutto le domande diagnostiche.
Con domande di questo tipo l’interrogante approfondisce dei punti specifici di suo interesse; così facendo, devia la conversazione su aspetti che ritiene interessanti o importanti.
Domande di questo tipo possono essere utili se l’interrogante sta aiutando la persona a risolvere un problema all’interno di una relazione professionale o di una relazione amicale già esistente e ha appunto necessità di informazioni su aspetti specifici. In una conversazione con sconosciuti, però, domande di questo tipo provocano di solito chiusura. Vediamo i tipi principali di domande diagnostiche.
Domande diagnostiche relative a sentimenti e reazioni:
- Che cosa ha provato a riguardo?
- Che reazioni emotive le suscita questo fatto?
Domande diagnostiche relative a cause e motivazioni:
- Come mai è accaduto?
- Quale potrebbe essere la causa?
- Perché si sente così?
Domande diagnostiche relative all’azione:
- Cosa ha provato a fare finora?
- Come è arrivato a questo punto?
Domande diagnostiche sistemiche:
- E i suoi colleghi come hanno reagito?
- Cosa ne pensano i suoi genitori?
Ci sono poi domande di giustificazione e suggerimento. Queste domande suggeriscono dei comportamenti o dei modi di pensare, oppure costringono chi risponde a giustificarsi:
- Ha pensato di mettersi a dieta? (suggerisce un comportamento)
- Pensa che si fossero seduti in quel modo per ostilità nei suoi confronti? (suggerisce una sensazione)
- Non si è sentito irritato? (costringe l’altro a giustificare perché non si è sentito irritato)
- Perché non ha detto niente? (costringe l’altro a giustificare perché non ha detto niente)
La personalizzazione
La personalizzazione è il riconoscimento dell’altro come individuo e non semplicemente come detentore di un ruolo. Il livello minimo di personalizzazione consiste nel chiamare l’altra persona per nome invece che per cognome 91.
Poi progressivamente, in modo appropriato, possiamo dire o chiedere cose personali: come ci troviamo o l’altro si trova in questo lavoro, dove abitiamo o dove abita, se abbiamo o ha famiglia. Dare qualche informazione su di noi permette di verificare se anche l’altro è disponibile a seguirci sulla personalizzazione 106.
Se queste prime rivelazioni domande personali vengono riconosciute e ricambiate, allora la relazione si sviluppa e può diventare più profonda. Ma si tratta di un processo lento che va calibrato con cura 106.(…) Sono molte le informazioni che ci si può scambiare prima che la relazione si sposti sul piano del feedback personale, e anche allora probabilmente è meglio attenersi alle questioni inerenti l’attività. Il feedback personale è un terreno minato anche nei rapporti più intimi 106.
Immaginate la conversazione come una sorta di altalena sociale su cui due persone imparano a conoscersi, un balletto di reciproca auto-esposizione in cui dire e domandare si alternano, ispirati dalla curiosità e dall’interesse punto la graduale messa a nudo di sé può aver luogo sotto forma di risposte all’umile ricerca di informazioni o di deliberate rivelazioni 107.
Le domande che nascono dalla curiosità possono facilmente risultare troppo personali e magari persino offensive. Per questo è importante comprendere le regole culturali relative a ciò che è considerato intimo e personale, e attenervisi 108.
I possibili errori di giudizio
Ciò che comunichiamo, a parole o con l’atteggiamento, durante una conversazione, dipende in massima parte da ciò che accade dentro la nostra testa. (…) Dobbiamo renderci conto che la nostra mente genera bias, percezioni distorte e impulsi inadeguati. Per praticare con efficacia l’umile ricerca di informazioni dobbiamo quindi imparare a riconoscere le distorsioni 108.
Possiamo immaginare un processo composto da tre fasi preliminari a un nostro intervento o dichiarazione:
- osservazione,
- reazione emotiva,
- giudizio razionale
Ognuna di queste tre fasi è soggetta a distorsioni.
L’osservazione
Noi vediamo e sentiamo, più o meno, quello che ci aspettiamo e prevediamo di vedere e sentire sulla base dell’esperienza accumulata e, soprattutto, sulla base di ciò che speriamo di ottenere. (…) A molte delle informazioni disponibili blocchiamo l’accesso, se non rispondono alle nostre esigenze o aspettative, oppure i nostri per concetti e pregiudizi. Il nostro cervello non accoglie passivamente le informazioni. Le seleziona fra i dati che è in grado di registrare e classificare sulla base del linguaggio e dei concetti culturalmente appresi, e a seconda di ciò che desideriamo o di cui abbiamo bisogno. Per dirla più sbrigativamente, non pensiamo e non parliamo di ciò che vediamo, bensì vediamo ciò che siamo in grado di pensare e di cui siamo in grado di parlare 110. (…) È stato dimostrato che anche i bisogni distorcono la percezione, un po’ come l’assetato nel deserto vede un’oasi che non esiste 110.
La reazione emotiva
Nella nostra cultura, orientata al pragmatismo e all’assorbimento di compiti, impariamo, inoltre, che i sentimenti non devono influenzare il giudizio, anzi lo distorcono, e ci viene insegnato a non agire d’impulso sull’onda, appunto, del sentimento. Paradossalmente, però, quantomeno siamo coscienti dei nostri sentimenti, tanto più ci lasciamo guidare da essi, illudendoci tutto il tempo di agire con giudizio. (…) Non è tanto l’impulsività in sé a causare il problema, quanto l’agire sull’onda di impulsi di cui non abbiamo piena coscienza e che, pertanto, non possiamo valutare prima di compiere l’azione che si rivela controproducente. La questione nodale, dunque, è trovare il modo di entrare in comunicazione con i propri sentimenti, in modo da ampliare la gamma delle proprie possibilità di scelta 112.
Questo secondo Schein è possibile chiedendoci Che cosa sto provando? 113
Il giudizio razionale
Se la nostra osservazione è fallata oppure non siamo coscienti delle nostre emozioni, i nostri giudizi saranno distorti 113. L’umile domanda di informazioni aiuta a ridurre questo rischio 115.
Altre opere di Edgar Schein
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. Riproduzione riservata. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.