Apprendimento organizzativo. Teoria, metodi e pratiche è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 1996 col titolo Organizational Learning II: Theory, Method and Practice; in precedenza gli autori avevano pubblicato nel 1978 Organizational Learning: a Theory of Action Perspective. La traduzione italiana di Organizational Learning II è del 1998.
Capitolo 1. Che cos’è un’organizzazione in grado di apprendere?
Nel capitolo 1 gli Argyris e Schön definiscono una serie di concetti relativi all’apprendimento organizzativo.
Un’organizzazione apprende quando acquisisce informazioni (conoscenza, comprensione, know how, tecniche o pratiche) di qualsiasi tipo e con qualunque mezzo 15.
L’Apprendimento organizzativo comprende un contenuto informativo, ossia un prodotto dell’apprendimento; un processo di apprendimento, che consiste nell’acquisizione, elaborazione e immagazzinamento dell’informazione; e un soggetto di apprendimento, colui al quale si attribuisce il progetto di apprendimento 16.
Una massa di persone diventa un’organizzazione quando soddisfa tre condizioni: i singoli membri della massa devono:
- approntare procedure condivise per prendere decisioni in nome della collettività
- delegare ad alcuni individui l’autorità di agire per la collettività
- fissare i confini fra la collettività e il resto del mondo 21,22.
Non è necessario che la creazione delle regole da cui traggono origine le organizzazioni sia consapevole, e nemmeno che le regole costituzionali siano esplicite. Essenziale è invece che il comportamento dei membri sia governato da regole sotto certi fondamentali aspetti 22.
Una collettività diviene un’organizzazione in grado di agire stabilendo regole che governino le modalità del decidere, del delegare e del fissare i limiti dell’appartenenza 22. (…) Una organizzazione è un veicolo collettivo per l’esecuzioni regolare di compiti ricorrenti 23.
Se una collettività soddisfa queste condizioni, in modo tale che i suoi membri possono agire nel suo interesse, si può dire che essa apprende quando i suoi membri apprendono nel suo interesse, realizzando un processo di indagine che dà luogo a un prodotto di apprendimento 24. (…) L’indagine diviene organizzativa soltanto qualora venga intrapresa da individui che fungono da agenti di un’organizzazione in accordo con i suoi ruoli e le sue regole dominanti 24.
Le organizzazioni fungono da ambienti che preservano la conoscenza, compresa la conoscenza ottenuta con l’indagine organizzativa. Tale conoscenza può essere conservata nelle menti dei singoli membri .(…) Tuttavia la conoscenza può essere conservata anche negli archivi di un’organizzazione, che ne documentano azioni, decisioni, regolamenti e politiche, oltre che nelle mappe formali e informali con cui le organizzazioni si rendono comprensibili se stessi e agli altri. Infine la conoscenza organizzativa può essere conservata negli oggetti fisici che i membri usano come riferimenti e indicazioni mentre svolgono il loro lavoro 25,26. (…) La conoscenza organizzativa è incorporata in routine e pratiche ispezionabili e codificabili, anche quando gli individui che le mettono in atto sono incapaci di descriverle verbalmente 26.
Le teorie dell’azione sono sistemi di credenze sottostanti l’azione, di prototipi da cui sono derivate le azioni, o di prescrizioni procedurali per l’azione strutturate come un programma al computer. Le teorie delle azioni hanno il pregio di includere le strategie d’azione, i valori che ne governano la scelta e gli assunti su cui si fondano 26. (…)
La teoria dell’azione può assumere due forme differenti: con l’espressione teoria dichiarata (espoused, tradotta anche con teoria esplicita) si intende la teoria dell’azione proposta per spiegare o giustificare un dato schema di attività. Con l’espressione teoria in uso (tradotta anche con teoria in azione) si intende la teoria delle azioni implicita nell’attuazione dello schema stesso 27.
È possibile che le teorie in uso organizzative non siano esplicite ma tacite, e che le teorie in uso tacite non corrispondano alla teoria dichiarata dell’organizzazione 27. (…) La teoria in uso organizzativa può rimanere tacita o perché non è descrivibile o perché non è discutibile 28.
Ogni membro di una organizzazione costruisce la propria rappresentazione della teoria in uso della totalità, ma la sua immagine è sempre incompleta. Egli si sforza continuamente di completarla descrivendosi in relazione agli altri nell’ambito dell’organizzazione. Al mutare delle condizioni egli riformula le proprie descrizioni; lo stesso fanno gli altri. Vi è un continuo intrecciarsi più o meno concertato, delle immagini che gli individui hanno della propria attività nel contesto dell’interazione collettiva 29. (…) i soggetti hanno bisogno di riferimenti esterni a guida delle loro revisioni private punto tale funzione di riferimento è assolta da mappe, memoria e programmi organizzativi. Esempi di mappe sono i diagrammi di flusso lavorativo, gli organigrammi e il disegno le fotografie del luogo di lavoro 30.
L’apprendimento single loop (apprendimento a circuito singolo) è un apprendimento strumentale che modifica le strategie d’azione o gli assunti ad esse sottostanti in modi che lasciano immodificati i valori di una teoria dell’azione. Un esempio di questo tipo è una modifica di un metodo di produzione per ridurre le possibilità che si verifichi un difetto nel prodotto 35.
L’apprendimento double loop (apprendimento a doppio circuito) è l’apprendimento che dà luogo a mutamento, oltre che delle strategie e degli assunti, anche dei valori della teoria in uso 35. Un esempio di questo tipo è la scelta di modificare completamente le modalità di controllo qualità.
Le strutture organizzative di un’organizzazione (ad esempio i canali comunicativi interni, i sistemi informativi, l’ambiente spaziale delle organizzazioni, le procedure e le routine che guidano le attività, i sistemi di incentivi che influenzano la volontà di indagare) possono influenzare l’apprendimento organizzativo 43,44.
Capitolo 2. Capovolgimento del rapporto fra ricercatore e professionista
Secondo Argyris e Schön i dipendenti (chiamati nel testo professionisti) sono pienamente in grado di svolgere indagini sugli accadimenti nelle organizzazioni, anche se operano in modi differenti dai ricercatori.
Il processo di ricerca descritto dagli autori per i ricercatori è quello utilizzato per le scienze ‘dure’ 57 quali la fisica la fisica, la chimica, la biologia molecolare, la matematica, l’astronomia e altre discipline che si avvalgono di metodologie scientifiche rigorose per studiare e comprendere i fenomeni naturali. Il paragone però non regge, perché stiamo parlando di indagini nell’ambito ambientale, che è diverso.
La ricerca dei dipendenti non produce leggi generali 61, ma inferenze fra cause e fenomeni che hanno una validità limitata alla situazione particolare e che possono essere utilizzati come fonte di ispirazione per ulteriori interventi che appaiono simili 61. In ogni caso, ricercatori e dipendenti dovrebbero lavorare assieme 62, il metodo preferito è quello della ricerca-azione sviluppato da Kurt Lewin 63.
Il metodo che [Lewin] sviluppò fu quello di coinvolgere i suoi soggetti come partecipanti attivi, impegnati nell’indagine, nella conduzione di esperimenti sociali su loro stessi. Egli formulò l’ipotesi di lavoro che gli individui tendono ad adottare quelle credenze al cui sviluppo e controllo hanno partecipato attivamente 63.
Capitoli 4 e 5. Il ragionamento difensivo degli individui
il capitolo 3 è dedicato all’esame di un caso, perciò non lo approfondisco qui. Nel capitolo 4 invece gli autori iniziano a spiegare il loro modo di intervento nelle organizzazioni.
Iniziano affermando che quasi tutti gli individui all’interno delle organizzazioni seguono teorie in uso sistematicamente disfunzionali; queste teorie inoltre li rendono inconsapevoli della disfunzionalità 96. Per migliorare il funzionamento delle organizzazioni, queste teorie vanno esplicitate.
Sono possibili vari strumenti di ricerca per far emergere le teorie in uso disfunzionali, ma quello che gli autori preferiscono è un metodo carta e matita 99. A ogni partecipante all’indagine viene richiesto di:
- individua un problema importante che hai tentato di risolvere o tenterai di risolvere in un prossimo futuro
- descrivi i passi che hai compiuto o che svolgerai e immagina una riunione per risolvere il problema
- dividi la pagina a metà: ripensando alla riunione, nella colonna destra scrivi le frasi che hai detto o che dirai e poi nella colonna a sinistra qualunque pensiero o sentimento che hai avuto o che immagini avrai mentre dicevi quelle frasi 99.
In genere la colonna a sinistra contiene di solito valutazioni e attribuzioni negative, dove la controparte viene considerata incapace; tuttavia questo giudizio negativo non viene comunicato in maniera esplicita 100. Le annotazioni mostrano inoltre autocensura, mancanza di empatia, mascheramento delle emozioni 102.
Gli autori chiamano questa modalità Modello I di teoria in uso, cioè Modello I di comportamento nelle organizzazioni.
Un commento
In concreto questo esercizio evidenzia il clima che spesso troviamo nelle imprese: ogni dipendente ha una sfiducia di fondo negli altri e cerca di manipolarli grazie a una comunicazione insincera o parziale. Questo comportamento si accentua quando le imprese sperimentano difficoltà di qualunque tipo: di mercato, di prodotto, di redditività, etc.
Ma come mai nelle organizzazioni si crea un clima di questo tipo?
Alcuni studiosi di organizzazione aziendale (ma anche la nostra esperienza di vita) ci dice che la sfiducia dipende dal fatto che in ogni organizzazione le condizioni di lavoro (mansioni, carichi di lavoro per la stessa mansione) e le retribuzioni (comprese i premi) sono diverse, e così ogni dipendente agisce costantemente per ottenere le condizioni migliori a spese degli altri. Si tratta cioè di un gioco a somma zero, dove le buoni condizioni di qualcuno vanno a detrimento di altri.
In più, il principio fondamentale su cui tutta l’organizzazione aziendale è strutturata è ottenere un profitto e assicurare il rispetto delle gerarchie, e questo obiettivo è considerato, in molte imprese, più importante dell’equità e della salvaguardia della dignità personale. In sintesi, in molte organizzazioni il fine (fare profitti e rispettare la gerarchia aziendale) giustifica i mezzi.
Quando si verifica un problema aziendale, la reazione più comune è adoperarsi per non esserne ritenuti responsabili e per non dover subire le possibili conseguenze (licenziamento, trasferimento, demansionamento, aumento dei carichi di lavoro, riduzione dello stipendio, destinazione a turni scomodi) dei tentativi di soluzione.
Gli autori invece sostengono che i comportamenti opportunistici dipendono da disposizioni individuali, che poi creano dei meccanismi patogeni anche a livello organizzativo. Vediamo in dettaglio.
La genesi dei comportamenti Modello I secondo Argyris e Schön
Come mai questi dialoghi controproducenti [quelli del Modello I] avvengono così spesso? (…) una risposta a questa domanda rinvia agli assunti alle competenze che gli individui apprendono a usare assai presto nel corso della loro esistenza al fine di gestire problemi che sono fonte di imbarazzo e minaccia. Questa però è solo una parte della risposta, infatti anche alcuni fenomeni organizzativi rafforzano questi dialoghi controproducenti. (…) Noi dunque crediamo che vi siano tre livelli di spiegazione per gli schemi (…) [disfunzionali] il primo è individuale; il secondo organizzativo; il terzo è un’interazione fra il livello individuale e quello organizzativo 114,115.
Quando gli esseri umani affrontano problemi che sono fonti di imbarazzo e minaccia, il ragionamento e l’azione si conformano a un particolare modello (…) che noi chiamiamo Modello I.
Segue una descrizione delle modalità di comportamento del Modello I senza spiegare quali possano essere i problemi fonte di imbarazzo e minaccia 115. Manca, cioè, totalmente il riferimento ai fatti interni alle organizzazioni che creano imbarazzo e minaccia. Lo stesso avviene per la spiegazione degli schemi a livello organizzativo 119 e di interazione 124.
A livello di gruppo la genesi e l’utilizzo degli schemi disfuzionali vengono spiegati facendo riferimento non più a individui, ma a gruppi di individui contrapposti: il reparto x non si fida e attribuisce le cause di determinate difficoltà al reparto y, e viceversa 120. L’enfasi anche qui è sulle dinamiche relazionali, descritte in termini di routine organizzative difensive, non sui dati di fatto organizzativi.
Gli autori sintetizzano in questo modo la genesi del Modello I e la direzione d’intervento:
- esistono unità individuali e sovra individuali che intrattengono fra loro rapporti dipendenti, circolari. Quando entrano in gioco l’imbarazzo la minaccia, questi rapporti interagiscono così da creare processi di apprendimento limitato che si autoalimentano
- affinché possa aver luogo e perdurare l’apprendimento a doppio binario a qualunque livello dell’organizzazione, si devono interrompere i processi che si auto alimentano a tal fine è necessario modificare le teorie in uso individuali 125-126.
Vale a dire: comportamenti diffidenti a livello di singoli e di gruppi si alimentano a vicenda. Per poter modificare in positivo la situazione aziendale (l’apprendimento a doppio canale si ha quando cessano i comportamenti egoisti e opportunisti) è necessario modificare gli atteggiamenti (le teorie in uso) dei dipendenti.
Le ipotesi sulla genesi del Modello I sono fondamentali per scegliere come intervenire per modificare questa modalità di comportamento disfunzionale.
Possiamo infatti scegliere di intervenire sulle cause oggettive, ad esempio le persone seguono il Modello I perché l’impresa ha una redditività ridotta e si temono licenziamenti, oppure un determinato reparto non sta raggiungendo gli obiettivi di produzione e la direzione sta studiando una riorganizzazione che potrebbe comportare trasferimenti, demansionamenti, aumento dei carichi di lavoro, oppure ancora le politiche di premio economico non sono basate su indicatori oggettivi ma sulle simpatie dei dirigenti.
Nel primo caso la direzione aziendale potrebbe dichiarare in modo convincente che non intende procedere a licenziamenti, nel secondo caso coinvolgere i rappresentanti dei dipendenti nella riorganizzazione, nel terzo caso adottare indicatori trasparenti e oggettivi.
In alternativa, possiamo provare a intervenire sugli atteggiamenti che le cause indicate sopra provocano nei partecipanti.
È ovvio che un intervento sugli atteggiamenti (come quelli proposti dagli autori, vedi dopo) darà risultati risibili, perché gli atteggiamenti sono dovuti a situazioni di fatto: se non si cambia la situazione di fatto, gli atteggiamenti non cambieranno. Gli atteggiamenti vanno avanti per inerzia, tendono a perpetrarsi anche quando la situazione che li ha originati cambia; in questi casi, e solo in questi casi, intervenire sugli atteggiamenti porterà dei cambiamenti.
Il Modello I di teoria in uso
Il Modello I di teoria in uso (115), ed è caratterizzato dal tentativo di minimizzare i conflitti e i disaccordi evitandoli e dissimulando l’elusione.
Il Modello I non facilita l’apprendimento organizzativo, in particolare quello a doppio circuito. In situazioni di difficoltà o comunque di cambiamento organizzativo, le relazioni fra dipendenti e fra dipendenti e direzione dovrebbero al contrario permettere di segnalare le cose che non vanno, quando non ci si comprende, quando si ha bisogno di aiuto.
I comportamenti tipici del Modello I sono i seguenti:
- Acquisire il controllo e indirizzare la conversazione
- Nascondere i pensieri e sentimenti propri che possono portare ad essere attaccati
- Evitare che gli altri si sentano feriti, nascondendo i propri sentimenti negativi nei loro confronti e informazioni che li svalutano 117.
Il Modello II di teoria in uso
Il Modello II di teoria in uso è descritta a partire da p. 135.
Le caratteristiche del Modello II sono:
- Fiducia nell’altro (perciò, comunicazione sincera, anche dei propri pensieri e emozioni recondite)
- Presentazione di tutti gli aspetti del problema
- Tentativo di elaborare una soluzione condivisa.
Le strategie comportamentali del Modello II richiedono che si condivida il potere con chiunque abbia competenze è un ruolo significativo nella decisione di implementare l’azione in questione. La definizione del compito il controllo sull’ambiente sono condivisi con tutti gli attori pertinenti. Ci si oppone alla pratica di salvare la propria o l’altrui faccia in quanto la si giudica un’attività difensiva e contraria all’apprendimento. Se si devono compiere azioni volte a salvare la faccia, allora vanno pianificate insieme alle persone interessate 142.
Come insegnare il Modello II
Per insegnare ai dipendenti il modello II è possibile organizzare dei seminari, descritti da p. 147. I seminari sono rivolti a gruppi di 30-100 persone. La consegna è la stessa indicata prima: scrivere di un episodio dividendo il foglio in due.
Nella fase successiva, gli autori aiutano i partecipanti a rendersi che hanno scritto affermazioni proprie del Modello I e questo dovrebbe aiutarli a passare al Modello II di comportamento. Sembra un processo psicoanalitico: il terapeuta svela alla persona contenuti di cui non è cosciente e questo cambia il suo comportamento.
Purtroppo, la spiegazione in dettaglio del processo viene fatta presentando dei casi, che è necessario seguire passo passo (vedi il capitolo 7). Manca una descrizione di sintesi della tecnica, e questo ne rende la comprensione assai faticosa.
Nella parte finale del libro (da p. 205) gli autori esaminano la letteratura sull’apprendimento organizzativo.
Critica alle modalità di intervento di Argyris e Schön
In breve, sembra che tutto l’intervento consista nel rendere le persone consapevoli che le loro modalità di comunicazione sono ‘sbagliate’ e che dovrebbero invece utilizzare quelle ‘giuste’. E’ lo stesso approccio che troviamo in Chiesa: ‘Vi comportate male, comportatevi meglio’. Qualcuno cambia perché gli dici di cambiare: mi sembra un approccio super ottimistico e utopistico. Manca qualunque spiegazione dei motivi organizzativi per cui le persone si comportano in questo modo e di come intervenire sull’organizzazione per modificare i comportamenti (vedi su questo punto l’introduzione di Massimo Tomassini a p. xli e xlii).
L’analisi della cultura organizzativa inoltre mi sembra rudimentale: gli autori esaminano solo le modalità comunicative, che peraltro possono essere solo di due tipi (modello I e modello II).
Differenze fra le due versioni dell’opera
Focus e Prospettiva
“Organizational Learning: A Theory of Action Perspective” si concentra maggiormente sulla teoria di base dell’apprendimento organizzativo. Questo libro introduce il concetto di “teorie in uso” rispetto a “teorie esplicitate” e come queste influenzano il comportamento e l’apprendimento all’interno delle organizzazioni.
“Organizational Learning II: Theory, Method, and Practice” si spinge oltre, approfondendo non solo la teoria ma anche le metodologie e le pratiche applicative. In questo libro, gli autori esplorano come implementare effettivamente i processi di apprendimento organizzativo in pratica.
Profondità e Applicazione
Il primo libro è più teorico, fornendo le fondamenta concettuali dell’apprendimento organizzativo e introducendo idee chiave come il modello di apprendimento a doppio loop.
Il secondo libro, d’altro canto, fornisce esempi più concreti e casi di studio, rendendolo più applicativo e utile per chi cerca di applicare i principi dell’apprendimento organizzativo in contesti reali.
Evoluzione del Pensiero
I due libri mostrano anche un’evoluzione nel pensiero degli autori. Il secondo libro costruisce sul primo, approfondendo e ampliando le teorie originariamente presentate. È una sorta di progressione naturale dalle idee fondamentali a come possono essere effettivamente messe in pratica.
………….
Su Donald Schön vedi anche:
- Una sintesi de Il professionista riflessivo di Donald A. Schön
- Una sintesi di Educare il professionista il professionista riflessivo di Donald A. Schön
- Relazioni fra il concetto di metacognizione e la riflessione sull’azione di Donald A. Schön
Vedi tutti gli articoli di Scienze dell’educazione.
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. Riproduzione riservata. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.